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Tecnica femtolasik: un esempio di innovazione nella chirurgia oculare
La tecnica femtolasik rappresenta oggi una delle soluzioni più avanzate e sicure nella chirurgia refrattiva per eliminare i difetti visivi come miopia, ipermetropia, astigmatismo e presbiopia
Antica Formula: la chiave per creare cocktail sorprendenti per le tue serate di festa
Con l’avvicinarsi delle festività natalizie, l’aria si riempie di luci scintillanti e di un’atmosfera che invita a celebrare e godere al meglio del tempo insieme alle persone care. Quale momento migliore, quindi, per stupire gli ospiti con cocktail raffinati, capaci di combinare tradizione e creatività?
La gioia di viaggiare
Viaggiare è un modo unico per prendersi una pausa dalla vita quotidiana e provare qualcosa di nuovo. È un'occasione per abbandonare per un po' la routine e immergersi in un ambiente completamente diverso
I cittadini dell’Oltreserchio scrivono al sindaco: "Problematiche annose, serve inversione di rotta"
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera aperta firmata da un gruppo di cittadini dell’Oltreserchio in occasione dell’evento "Un caffè con il sindaco" in programma domani (mercoledì 27 novembre) a Nozzano Castello presso il Circolo M.C.L. dove si segnalano una serie di annose problematiche gravanti sui cittadini residenti per una loro soluzione
"Seggio elettorale per la comunità romena inadatto"
Riceviamo e pubblichiamo questa lettera, rivolta al sindaco, sull'ubicazione del seggio elettorale 383 in occasione delle elezioni parlamentari e presidenziali della Romania, destinato alla partecipazione al voto della comunità romena di Lucca e le province limitrofe
Le nuove tecnologie nel settore del fitness
Il mondo del fitness, come ogni altro settore, negli ultimi anni ha subito una drastica trasformazione a causa dell’introduzione di nuove tecnologie sviluppate per rendere l'allenamento più efficace, innovativo e personalizzato
Inter, infortunio Calhanoglu: sospiro di sollievo per il centrocampista turco
Il centrocampista nerazzurro ha evidenziato una lieve ricaduta muscolare durante la partita con la nazionale turca: da capire se potrà essere convocato per Verona o verrò lasciato a riposo
In ripresa il mercato italiano della cannabis legale dopo lo stop politico
Il governo ci ha provato più volte ad arrestare l’ascesa della cannabis light, ma ogni volta il TAR lo ha bloccato ritenendo infondato l’accanimento verso il CBD, trattandosi di una sostanza non stupefacente
Come guadagnare 1 milione di dollari potrebbe essere più realizzabile di quanto pensi... ed è legale
BitconeMine è la piattaforma di servizi di cloud mining di criptovaluta più avanzata che utilizza la tecnologia di intelligenza artificiale per il mining. BitconeMine utilizza l'ASIC integrato nel…
Giocare alle slot online: cosa sapere sulla tassazione dei bonus in Italia
Immagina di giocare alle slot online, dove ogni giro non si limita solo al divertimento e alla speranza di vincere, ma introduce anche l’importanza di conoscere come le vincite vengono tassate
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Dopo il boom del lavoro da remoto durante la pandemia di Covid-19, alcune aziende sono tornate al lavoro in sede; tuttavia lo smart working è rimasto abbastanza diffuso. Oggi molte imprese ricorrono a varie forme di lavoro agile, ad esempio alternando giorni di lavoro in ufficio e da casa o applicando lo smart working soltanto ad alcuni reparti.
Ad ogni modo, nonostante i numerosi vantaggi del lavoro agile, lo smart working comporta anche dei rischi per la sicurezza informatica. Basti pensare all’utilizzo dei dispositivi elettronici personali da parte dei dipendenti, all’ampliamento del network in cui vengono scambiate le informazioni aziendali e alle ingenuità che i collaboratori possono commettere, aumentando le vulnerabilità del sistema informatico dell’impresa.
Bisogna considerare anche l’uso dei device aziendali da parte dei dipendenti per attività personali, ad esempio una ricerca online durante il tempo libero, oppure l’utilizzo sempre più diffuso di piattaforme cloud e la connessione da reti Internet condivise o pubbliche da parte dei collaboratori che lavorano da remoto. Tuttavia, esistono alcuni accorgimenti efficaci che le aziende possono adottare per ridurre i rischi informatici, gestendo lo smart working con maggiore tranquillità e in modo più sicuro.
Come limitare i rischi informatici nella gestione dello smart working in azienda
Per salvaguardare la sicurezza informatica dell’azienda è possibile ricorrere innanzitutto a una VPN (Virtual Private Network), ossia una rete privata virtuale. La VPN permette di proteggere la connessione Internet grazie a un tunnel virtuale cifrato per i dati, per nascondere l’indirizzo IP e collegarsi anche alle reti pubbliche in sicurezza. In ambito aziendale le VPN sono molto utilizzate dalle imprese che ricorrono allo smart working, in quanto permettono di accedere alla rete locale aziendale come se si fosse sul posto e connessi via cavo.
Un altro valido accorgimento consiste nell’utilizzo di dispositivi elettronici sicuri, dotati di un buon sistema antivirus per limitare i rischi legati ai cyber attacchi (come azioni di phishing che tentano di sottrarre le password e altri dati sensibili).
Oltre al controllo degli standard di sicurezza dei device aziendali, soprattutto quando sono adoperati dai dipendenti anche per le attività personali, è essenziale garantire una connessione Internet sicura nell’ambiente domestico dei collaboratori, a partire dalla configurazione e protezione dei router di casa.
Le aziende che adottano lo smart working devono prevedere anche sistemi di backup automatici, affinché in caso di danneggiamento dei dispositivi o violazione dei software usati dai dipendenti sia comunque possibile recuperare i dati aziendali. Tutti gli accessi dei collaboratori che lavorano da remoto, inoltre, vanno tutelati attivando l’autenticazione a due fattori, un processo che migliora la sicurezza informatica e rende più difficile per un malintenzionato accedere all’intranet aziendale.
Per la cybersecurity aziendale con il lavoro agile bisogna anche gestire con attenzione i livelli di accesso alla rete informatica dell’azienda, definendo diversi tipi di permessi per ogni profilo utente. Questo approccio, abbastanza semplice da implementare, aiuta a mitigare i rischi informatici, evitando che un collaboratore abbia accesso a dati aziendali sensibili quando non è strettamente necessario e quindi abbandonando la strategia dell’accesso generalizzato, in quanto comporta rischi elevati per la sicurezza informatica dell’impresa.
L’importanza della formazione dei dipendenti in merito alla sicurezza informatica
Lo smart working dev’essere utilizzato in modo consapevole dalle aziende, soprattutto dalle piccole e medie imprese, che spesso sottovalutano l’importanza della sicurezza informatica.
Eppure, le soluzioni disponibili oggi sono accessibili a qualunque impresa, comprese startup, web agency, micro imprese, studi e professionisti. Tuttavia, per un’adeguata salvaguardia degli asset digitali aziendali e la protezione dei dati sensibili, è fondamentale investire anche nella formazione dei dipendenti.
I collaboratori devono essere informati e coscienti dei rischi informatici, affinché siano in grado di adottare buone pratiche per la sicurezza informatica nel lavoro da remoto. Spesso, infatti, sono proprio gli errori individuali a rappresentare le maggiori criticità per la cybersicurezza aziendale, perciò è indispensabile formare il personale per minimizzare le negligenze e le imprudenze che possono causare gravi danni per l’organizzazione, allo scopo di limitare i rischi di violazioni provocate dal fattore umano.
Uno strumento utile in tal senso sono le policy di cybersecurity, attraverso le quali è possibile prevenire i rischi informatici e pianificare una strategia ottimale di gestione di situazioni simili in caso di violazione.
Avere una guida condivisa all’interno dell’azienda permette di intervenire rapidamente in seguito a un problema informatico, assicurandosi che ogni dipendente sia a conoscenza delle procedure da eseguire per limitare le conseguenze dell’attacco realizzando le operazioni giuste.
D'altronde, investire nella sicurezza informatica è di fondamentale importanza al giorno d'oggi. Infatti, come segnalato dall'Osservatorio Cyber Security & Data Protection del Politecnico di Milano, gli attacchi informatici ai danni delle aziende sono aumentati in modo esponenziale negli ultimi anni. L'incombenza della minaccia rende essenziale migliorare la protezione delle imprese dai rischi informatici attraverso maggiori investimenti nelle tecnologie e nella formazione dei dipendenti.
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Riceviamo, e volentieri pubblichiamo, la lettera inviataci dal professore Riccardo Massagli in merito ai lecci di Villa Bottini.
Mi chiamo Riccardo Massagli, sono un insegnante e storico dell'arte. Mi sono laureato in storia dell'arte medioevale a Firenze, sono stato borsista presso la Fondazione Longhi e ho conseguito il dottorato in Storia dell'Arte sempre occupandomi di storia dell'arte lucchese. Per circa 10 anni ho collaborato stabilmente con la Soprintendenza, nello specifico occupandomi dell'inventario dei Musei Nazionali Lucchesi e della sezione didattica di quei musei conducendo percorsi didattici e incontri culturali estesi a tutta le cittadinanza oltre che alle scuole. Sono stato relatore di conferenze e convegni e ho all'attivo diverse pubblicazioni scientifiche tutte riguardanti il medioevo lucchese e la pittura del Quattrocento a Lucca.
Vi invio una riflessione legata ai 5 lecci che si intende tagliare presso il parco di Villa Bottini perché allo stato attuale l'aspetto storico culturale della questione non mi sembra emergere dagli interventi emersi in questi giorni. So di inviarvi un testo un po' denso ma vi sarei davvero grato se poteste pubblicarlo integralmente perché tocca, in modo scientifico, una serie di argomenti profondamente interconnessi che credo sia davvero urgente mettere in campo su questa questione così accesa. Decurtarlo sarebbe impoverirne il contenuto e ora più che mai c'è bisogno di offrire spunti solidi e sfaccettati di riflessione per il dibattito in corso anche da un punto finora poco toccato, quello storico artistico.
Vi ringrazio anticipatamente per la vostra attenzione.
La decisione di tagliare i cinque grandi lecci che ombreggiano oltre il muro perimetrale del parco di Villa Bottini su via Santa Chiara, è un’operazione che, se portata a compimento, segnerà in negativo la storia culturale e politica della nostra città. La sopravvivenza dei cinque alberi potrebbe, viceversa, essere l’occasione per scrivere una significativa pagina di collaborazione fra enti e cittadinanza. Il mio intervento, come storico dell’arte, si focalizzerà solo su uno degli aspetti di rilevanza che spingono alla salvaguardia delle piante di Villa Bottini, quello, cioè, connesso alla loro valenza culturale.
Lucca, nel variegato panorama dei centri d’arte europei, ha un posto di rilievo soprattutto per la sua natura urbanistica. È infatti costituita dalla stratificazione e dall’intreccio di elementi che una plurisecolare politica di controllo e gestione di spazi urbani ed extraurbani ha risolto in quell’armonia strutturale riconosciuta quale tratto distintivo di questa città. Gli alberi sono componente essenziale di una tale partitura architettonica. Non occorre scomodare i dannunziani riferimenti all’arborato cerchio per trovare conferma di quanto gli alberi siano intimamente connessi con l’immagine e con l’immaginario della città in questione. La cinta muraria cinquecentesca fu munita di alberatura già prima dei noti interventi ottocenteschi che trasformarono una delle più imponenti opere di difesa d’Europa in un parco pensile di portata romantica. Confermate dalla trattatistica d’epoca e dalla bibliografia scientifica di riferimento, le planimetrie e le vedute urbane sei e settecentesche ci informano come gli alberi venissero piantati sulle cortine per rafforzare con le radici i terrapieni ed elevare con le chiome l’altezza delle strutture difensive. Allo stesso modo è noto come la Guinigi non sia l’unica delle antiche torri chiomate di alberi, per altro della stessa specie di quelli che ora s’intendono tagliare presso Villa Bottini. Il verde urbano ha una storia affascinante ancora poco indagata che è ben percepibile da posizioni sopraelevate: il sistema dei giardini chiusi e delle corti rimarca ancora oggi l’abitudine antica di piantare anche alberi di pregio negli interstizi della planimetria. Per un certo periodo, intorno alla metà del XVII secolo, l’interno dello spazio dell’anfiteatro romano fu occupato da orti coltivati. Nell’evolversi continuo dei gusti, delle tendenze e delle conoscenze botaniche, la città si arricchiva di piante non autoctone e ogni nuovo ingresso botanico fu spesso collegato a un preciso contesto politico e culturale. Esempio forse più noto è quello della magnolia, albero che fa il suo ingresso trionfale in epoca napoleonica importato dai francesi, e che costituisce oggi una delle emergenze arboree più connotanti del paesaggio antropico lucchese.
Il gusto estetico, come è noto, è un parametro costantemente mutevole e in evoluzione. Su di esso ogni civiltà ha impostato scelte politiche e culturali. In questo, la parte politica ha un ruolo fondamentale soprattutto se si assume, come oggi è auspicabile, anche un ruolo pedagogico. Ogni fase storica richiede che ci si educhi a una nuova estetica anche e soprattutto in relazione con lo spazio naturale. Oggi, a Lucca, siamo indietro rispetto al sentire del nostro tempo. C’è un’urgenza globale di adeguare l’intero sistema di vita a un’ottica nuova, ecologica in senso ampio e profondo. L’estetica non può sottrarsi a questo processo accelerato. Vi è inevitabilmente implicata. Pertanto deve conciliare due necessità: quella di preservare gli apparati storici e quella, attualissima, di includere in questi stessi apparati gli elementi naturali che fino a pochissimo tempo fa, nel contesto delle Soprintendenze, venivano etichettati come ‘beni paesaggistici’. Gli alberi, nei casi specifici come Lucca, non sono solo paesaggio. Dell’architettura e dell’urbanistica sono la parte viva, mutevole e bisognosa di attenzioni particolari.
Rispettare l’archivio arboreo storico del tessuto cittadino è una priorità che non può essere disattesa e che è parte di questa sensibilità rinnovata che non dobbiamo ignorare. I cinque lecci di Villa Bottini sono il segmento di una stratificazione che interessa da secoli un’area della città. Le chiome dei lecci connotano la veduta prospettica di via Santa Chiara sia dall’imbocco sud - quando, svoltando da Via Elisa, essi movimentano l’infilata del muro perimetrale della Villa -, sia da Nord - dove la loro indubitabile imponenza si staglia a distanza guardando dallo sbocco di Piazza San Francesco. Proprio da qui, lo spazio d’ombra che essi contribuiscono a creare in concomitanza con le verticali della Pia Casa, anima in senso chiaroscurale quell’angolo urbano, vero e proprio cannocchiale capace di mettere a fuoco, con una soluzione di quinte d’integra bellezza, il portale manieristico del muro del parco di Villa Bottini, a seguire i lecci e, oltre, il complesso di San Micheletto col suo elegante binomio di facciata e campanile. Si tratta di una delle visioni urbane più caratterizzate e suggestive della città. Gli alberi sono parte integrante di questa visione, non possono venirne scissi. L’area urbana in questione, non dimentichiamolo, nasce come suburbio esterno alla cinta medievale e sarà oggetto delle lottizzazioni cinquecentesche sulle quali, per l’appunto, sorgerà anche il Palazzo Buonvisi al Giardino, oggi Villa Bottini. Un’area fatta di luce, di pieni e di vuoti che sapientemente lo sviluppo urbano ha saputo preservare quasi a contrasto con l’intrico compatto del nucleo antico della città. Le prospettive urbane di quest’area vivono di un’atmosfera rarefatta, determinata dalle riqualificazioni successive dei quartieri che piano piano hanno occupato lo spazio incolto. Sarà il Settecento a sigillare questa contrada con una sobria e asciutta geometria di edifici di media altezza che aprono ampi ritagli di cielo su prospettive ariose, costruite su precisi punti di riferimento: valga come esempio l’asse di Via delle Sette Arti che confluisce verso la facciata di San Ponziano, visto dall’innesto di Via Santa Chiara. Anche la stessa Via Elisa, in direzione dell’omonima porta, in epoca Neoclassica viene armonizzata con tale visione in una soluzione di austera semplicità. In questo quadro alleggerito, gli alberi, i più antichi come quelli di più recente istallazione, vanno a costituire una sapiente partitura contrappuntistica che segna, con ritmo variabile ma puntuale, tutto lo snodarsi viario dell’area: si pensi alle conifere sull’ingresso ellittico subito dentro Porta Elisa innanzi a Palazzo Froussard o ai gingki e alle altre piante che ornano il salotto erboso sul fianco di San Micheletto. I cinque lecci di Villa Bottini fanno parte di questa musica architettonica che è viva. Pertanto chiunque volesse ragionare di mantenimento e rispetto del tessuto storico e culturale della città, dovrà includerli nel patrimonio peculiare di questo quartiere così singolare ed escogitare una soluzione che contempli la loro salvaguardia. Esempi illustri di un nuovo e coraggioso modo d’intendere la convivenza di contesti abitativi o storici ed elementi arborei sono il grande cipresso del convento di Santa Croce a Villa Verucchio, il pino secolare di via Burchetti a Scandicci, l’esoscheletro in acciaio progettato per la grande quercia di piazza XXIV maggio a Milano, vero e proprio caso di avanguardia in Europa.
Veniamo ora, per chiudere, alla questione del presunto decoro. Sembra di comprendere dalla letteratura giornalistica sull’argomento, che i tiranti e rinforzi murari adottati per mettere in sicurezza il muro, reso pericolante dai lecci in questione, siano antiestetici. Si è parlato di decoro, parola ambigua su cui riflettere ma non qui, per motivi di sintesi. Le strutture di mantenimento esterne non sono affatto antiestetiche ed anzi, ad un’attenta analisi, esse non sono altro che il segno di una stratificazione che indica l’attuale manovra di attenzione per la messa in sicurezza del muro. L’immaginario urbano europeo è maturo e il patrimonio visivo a esso relativo, quanto meno per gli addetti ai lavori, deve essere tale da farci ben comprendere come le suddette strutture non intacchino l’integrità stratificata della strada storica. Val la pena ribadire come soluzioni analoghe siano visibili da più di un decennio in altre sezioni della città altrettanto storiche, ad esempio sullo sbocco di Via San Paolino su Piazzale Verdi all’altezza dell’ex Ospedale di San Luca. Forse è bene ricordare come Lucca sia tempestata di tiranti storici che compaiono a bella vista su facciate e murature antiche. Ogni epoca è dovuta ricorrere a interventi di ricovero e messa in sicurezza e col tempo questi elementi sono divenuti parte del così detto arredo urbano: sono testimonianze della cura continua che la civiltà dedica ai propri spazi vitali intervenendo anche sul patrimonio dei secoli precedenti. A dirla tutta, il vero problema, non solo visivo, di Via Santa Chiara è quello delle macchine parcheggiate in modo più o meno selvaggio, non certo la presenza di decorose anime in metallo che sorreggono la parete. Il vero disturbo in termini di alterazione della leggibilità sono i mezzi parcheggiati ma una città deve anche vivere e questo è un compromesso che conosciamo bene. Se per necessità non possiamo rinunciare ai parcheggi in strade storiche del centro, perché mai non dovremmo essere capaci di tollerare quattro strutture reggenti in metallo aderenti al muro?
All’interno del parco della Villa, i tiranti ancorati a strutture di cemento non intaccano in alcun modo la visione globale dell’edificio e del suo bellissimo parco. Siamo abituati a vedere quel giardino e tutta la sua villa impiegati per molteplici usi: mostre, fiere, cinema estivi. Villa Bottini non è certo un monumento ingessato, anzi, si presta, nel pieno rispetto della sua conservazione, a essere contenitore vivo e partecipe della storia presente. Se qualcuno volesse criticare i cinque tiranti, ubicati lateralmente rispetto agli spazi utilizzati di prassi per le varie manifestazioni, dimostrerebbe o mancanza di cultura aggiornata o voglia di strumentalizzare la questione per procedere ciecamente su una via il cui scopo mi sfugge. Se il fine per cui s’intende tagliare le cinque grandi piante è la sicurezza, al momento con tiranti e strutture siamo a posto. Infatti non vi sono transenne protettive nei paraggi, segno che quella soluzione al momento rende sicura l’area. Se, viceversa, la questione fosse di tipo estetico, allora saremmo di fronte ad un brutale e grave episodio d’ignoranza culturale. Tuttavia, la fiducia che voglio riporre nelle istituzioni che si occupano della mia città mi impedisce di prendere in considerazione questa seconda ipotesi.
Il taglio degli alberi a Lucca ha una sua, ahimè, suggestiva tradizione che affonda le radici nelle origini stesse della città. Come è noto l’etimologia tuttora non risolta della città sembra alludere al lucus, probabile bosco sacro che si trovava ubicato sull’ansa interna dei rami dell’Auser su cui sorse l’insediamento romano. Per l’edificazione della cittadella fortificata, quel bosco forse fu raso al suolo. Sembra pertanto scritta nel destino la difficile relazione fra questa città e gli alberi. Del resto, nella toponomastica, è noto a tutti come le ‘tagliate’ fossero gli spazi che qui, come in moltissime altre città europee, erano volutamente mantenuti senza alberi per facilitare l’avvistamento del nemico. Eppure Lucca ha risarcito nel tempo questo rapporto conflittuale cingendosi di alberi e innestandoli nel proprio apparato monumentale. Pertanto mi sento di chiedere con intensità all’attuale giunta comunale così come alla Soprintendenza locale di fermarsi un attimo a riflettere e a concertare qualcosa di nuovo, una soluzione che possa rispettare non solo cinque cittadini illustri ma anche l’intero sistema urbano di cui fanno parte e che senza di essi verrebbe fortemente depauperato. Basta volerlo. Sarebbe scrivere una bella pagina di storia e di cultura, oltre che di buon governo. Sono sicuro che se ci ascoltiamo, possiamo farcela.