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Scritto da Redazione
Cronaca
01 Ottobre 2020

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Giovanni Martini lo conoscono, a Lucca, un po' tutti. Anzi, tutti. A qualcuno sta sulle scatole per via di quel suo carattere esageratamente esuberante, ad altri è il ritratto della simpatia fatta persona per le medesime ragioni. Noi non stiamo né con i primi né con i secondi. A lui ci lega un rapporto di franchezza oseremmo dire, quasi, brutale. Gli diciamo quel che pensiamo, ci dice quel che vuole. Il suo locale è stato, negli anni della nostra prima permanenza in questa valle di lacrime, una sorta di pellegrinaggio obbligato per i giovani lucchesi. Noi, che oltre a non essere più così giovani non eravamo nemmeno lucchesi, lo abbiamo conosciuto più tardi e, salvo qualche colazione, caffè o, rarissimamente, aperitivo, scarsamente frequentato.

Siamo, tuttavia, orgogliosamente stati adottati da questa città dopo 31 anni di permanenza o residenza che dir si voglia o, più probabile, ci siamo adottati da soli visto che a molti, a queste latitudini, non siamo particolarmente ancora graditi. Abbiamo vissuto, siamo cresciuti, ci siamo formati a Roma e quando siamo piovuti a Lucca mai avremmo immaginato che sarebbe stata la nostra destinazione finale. Salvo improbabili sorprese dell'ultim'ora.

Abbiamo, così, imparato, nel corso del tempo e, in parte, anche a nostre spese, che in questa città la solidarietà è una parola che si pronuncia sottovoce e si pratica a targhe alterne, dove si pratica uno sport che costa assai poca fatica, ossia godere delle disgrazie altrui, in cui le coincidenze sono soltanto ipocrisia e non capitano mai a caso. Abbiamo anche appreso che non esistono più le famiglie di una volta, ma di una volta resistono e non mollano le intese trasversali, il non dare noia per non averne in futuro, il commentare alle spalle senza mai dire le cose in faccia, lanciare, cioè, il classico sassolino che, a volte, si vorrebbe anche essere una pietra, ma tirare indietro, sistematicamente, la mano chiedendo ad altri, ad esempio al sottoscritto, di farlo con tanto di firma e responsabilità.

Okay, sono queste le regole del gioco a cui, da secoli e da sempre, si è adeguata la maggioranza dei lucchesi, ma noi, pur accettandole, le abbiamo messe in discussione e tutt'ora lo facciamo. 

Quello che è avvenuto a Giovanni Martini e al suo Caffè Monica è qualcosa di inumano o, meglio ancora, disumano. E non riusciamo a comprendere come sia potuto accadere in una città come la nostra dove ci si sciacqua la bocca, soprattutto, in tempi di emergenza sanitaria, con parole come solidarietà, aiuto, vicinanza e altre amenità del genere.

Come si può andare a mettere i sigilli ad un bar di poco più di 15 metri quadrati, persino al cesso che dà sulla strada e al locale adiacente, con un esercito di 12 vigili urbani? Già, qualcuno avrà portato il nastro adesivo, un altro la penna, qualcun altro la carta, uno il provvedimento e così via, ma, francamente, nemmeno si trattasse di porre sotto sequestro i beni di un soggetto condannato e sottoposto al 41 bis.

Chi è l'assessore alla polizia municipale di questa città? Dicono sia un certo Francesco Raspini, quota Pd, futuro candidato a sindaco di Lucca per il centrosinistra. Beh, come biglietto di presentazione non c'è male e ha ragione Rodolfo Pasquini di Confcommercio a dire che si è trattato di una operazione sproporzionata.

Ma l'assessore sapeva di questo schieramento in forze? Ma l'assessore sa o non sa che questa emergenza più o meno fasulla - in particolare da questa estate - ha distrutto e messo in ginocchio l'economia e la gente che, invece di avere stipendi fissi e sedie sotto il culo, possiede la partita Iva e non sa nemmeno come fare ad arrivare alla fine del mese?

Che cosa avrà mai fatto il Giovanni Martini, carattere, sicuramente, di merda, ma in grado, anche, di prendersi le sue responsabilità all'occorrenza? Pare abbia disturbato la quiete pubblica. Quella, immaginiamo, dei residenti della zona che da tempo non sopportano i rumori durante la sera e la notte e vorrebbero ridurre il centro storico in una sorta di cimitero di elefanti. E la colpa è, come per il virus, dei giovani che, al contrario, vogliono vivere.

Caro Giovanni, è possibile che tu abbia tenuto il volume della tua musica, di sera, forse un po' alto e forse un po' troppo a lungo rispetto ai bioritmi di alcuni residenti che, ci dicono, hanno firmato un documento e ti hanno denunciato. Certo, questi leoni non hanno pensato che, con il lockdown e lo smart-working, entrambi due bestemmie perdonaci l'ardire, a pranzo non viene più nessuno al tuo locale e, magari, la sera con l'aperitivo e qualche bevuta restava il solo momento per cercare di tirare su qualcosa. Ci mancherebbe mai mettersi nei panni di un commerciante che, si sa, deve schiattare perché fa i soldi a palate e non paga le tasse...

Questo, caro amico mio, è il messaggio che passa abitualmente tra la gente che, in genere, se ne sta sana e salva a casa senza problemi se non quello di veder passare il tempo, guardare la Tv che rincoglionisce e andare a letto come le galline o quasi. Certo, non tutti sono così, ma crediamo di non sbagliare per eccesso. 

Sappiamo che ti sei già rivolto ad un legale, l'avvocato Federico Corti e che combatterai per difendere i tuoi diritti e le tue ragioni. Le istituzioni, comunque vada, hanno perso l'ennesima occasione per manifestare la propria, concreta, vicinanza ai cittadini che dovrebbero tutelare. Cerca di stare tranquillo e consolati: se le cose continuano così, non basteranno milioni di agenti per sottoporre a sequestro tutte le attività di questo Paese lanciato verso il baratro da una classe dirigente e politica che non sa assumersi nessuna responsabilità che non sia quella recarsi in banca a riscuotere il proprio stipendio.

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