A dirla tutta, e per quel che può valere, non mi piacciono i tatuaggi. Anzi, a essere sincero fino in fondo, un pochino pochino di senso me lo fanno. Se niente meno che Nostro Signore Gesù Cristo, chiama tempio il corpo umano, in linea di principio direi che ognuno ha il sacrosanto diritto di decorarlo, il tempio, come meglio gli detta la sua estetica individuale… Io personalmente propendo per una disadorna, assoluta sobrietà, e ho sempre teso a evitare come la peste anelli e braccialetti, catenine e pendagli di genere vario. Animo semplice, il mio, quasi francescano, non ama tutto ciò che possa favorire fastidiose, e magari anche costose, complicatezze. Il tatuaggio, oggi così diffuso da non risparmiare nessuna categoria sociale e professionale, dalla casalinga all’impiegato di banca, dal poliziotto al dirigente d’azienda, dal docente al medico di base, mi appare una manifestazione appartenente a culture ed estetiche desuete, lontane nello spazio e nel tempo. Se in passato ha contribuito a ribadire specifiche identità o a marcare differenze – una bandiera da sventolare da pochi o pochissimi, talora pro, più spesso contro – oggi mi appare come il mediocre pedaggio da pagare per essere ammessi nell’area del conformismo modaiolo dominante: quello imposto dagli influencer social-televisivi di ogni ordine e grado, da pallonari strapagati, da cantanti che vanno per la maggiore e che suppliscono alla povertà delle armonie e dei testi, esponendo un derma sempre più pigmentao, tormentato e sconnesso.
Padrone, padronissimo ognuno di fare col proprio corpo e del proprio corpo quello che meglio crede - ci mancherebbe altro - ci sarebbe, però, da rispettare alcuni limiti che attengono al buon gusto, al senso della misura, all’equilibrio proprio di una continenza discreta e ben governata. E invece ormai quotidianamente veniamo assaliti dappertutto e senza colpa dall’esposizione da vaste, sempre più vaste, aree di cute bruttate da disegni ora sgraziati, ora approssimativi, ora l’uno e l’altro, di solito raffiguranti improbabili animali il più delle volte pericolosi e repulsivi: serpenti, scorpioni, immondi ircocervi mitologici…. I soliti amici che sanno di antropologia, sociologia e psicologia hanno richiamato la mia attenzione sul nesso tatuaggio/linguaggio: il tattoo a loro dire, non è altro che un modo per comunicare, secondo una modalità antica e nuova, qualcosa agli altri: un po’ come la postura del corpo, la foggia della capigliatura, gli abiti quotidianamente indossati… Sono colti, loro e può darsi che in tali considerazione ci sia pure del vero… Però si tratta di una espressività sgradevole: rozza, elementare, primitiva. Grossolanamente ostentata… Anni fa, in un film forse non dei suoi migliori, intitolato Palombella rossa, il regista Nanni Moretti che ne era anche interprete, in una notazione fulminante ci fece notare che chi parla male, pensa male e vive peggio.
E tanto basti.
Siamo orfani di identità, per questo ci facciamo i tatuaggi
Scritto da Luciano Luciani
Cronaca
07 Giugno 2025
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