A Roma, si sa, l'estate dura sempre un po' di più che altrove e, così, a ottobre recarsi in visita nella capitale è una scelta ottima e assolutamente da fare meglio se nei primi 20 giorni del mese ché, poi, si rischia di trovarsi di fronte a qualche rovescio indesiderato. Le Ottobrate romane erano una sorta di gita domenicale che i romani di un tempo effettuavano fuori porta recandosi su quei prati e in quelle campagne che circondavano la città eterna. Oggi non esiste più la campagna e nemmeno ci sono i prati a fiancheggiare le antiche mura romane, ma il mese di ottobre resta, per il clima favorevole, quello che è sempre stato: un periodo di straordinaria atmosfera.
Chi ha vissuto la Roma di mezzo secolo fa si ricorda benissimo una città che è solo lontanissima parente di quella degradata di oggi. Sporca, senza identità, con una popolazione di extracomunitari in aumento costante, con zone dove il decoro e la sicurezza sono delle inutili speranze e dove trionfano il pressapochismo, l'assenza di ogni tipo di socializzazione, la miseria civile, l'atomizzazione dell'individuo senza radici e attento soltanto alla propria sopravvivenza. E tutto ciò non vale solamente per i quartieri periferici e più distanti dal centro, ma comprende anche quelli che, un tempo, erano considerati i gioielli della capitale. Prendiamo, ad esempio, Prati, una volta il tempio della piccola borghesia operosa che era sbarcata in cerca di un futuro in una città senza dubbio più ospitale e coesa di adesso. Oggi è una zona anonima, dove chi ha soldi si può permettere immobili di pregio e chi non li ha resta a guardare e dove, in particolare, trionfano gli uffici e sono scomparse le famiglie con i ragazzini e le ragazzine che vivacizzavano la Roma umana che non c'è più.
Ecco perché anche chi, a Roma, è cresciuto e ha vissuto a lungo, non ci tornerebbe più. Nulla, infatti, è come prima, nel senso più deteriore del termine. Una enorme mangiatoia di tutte le razze e di tutte le tribù, dove di romano e di italiano non c'è, praticamente, più niente di autentico.
Eppure ci sono quelli che, andati a scuola nei primi anni Settanta, abitanti di quegli edifici di proprietà delle società immobiliari del Vaticano, pur essendo costretti a cambiare zona perché non sempre in grado di poter acquistare l'appartamento dove vivevano, non rinunciano mai a una rimpatriata, anche due a dire la verità, per confermare, qualora ce ne fosse ancora il bisogno, che l'essere umano non è fatto solamente di soldi e apparenza, ma anche di sostanza, di affetti, di ricordi, di esperienze condivise. In un mondo così freddo, recitava lo slogan del film The big chill, c'è bisogno di amici che ti riscaldino.
A ottobre, a inizio anno scolastico, erano anni di sviluppo demografico robusto, all'istituto tecnico commerciale Maffeo Pantaleoni di via Maria Luisa di Savoia a piazzale Flaminio, c'erano già i doppi turni: si entrava tre giorni la mattina e altrettanti il pomeriggio. E il pomeriggio il sole ancora caldo accompagnava gli studenti in un insolito ingresso scolastico che terminava quando, ormai, era buio inoltrato.
Erano gli anni della contestazione, quelli del cosiddetto Settantasette che segui il Sessantotto in una epoca in cui il tempo era scandito dalle annate e dalle proteste che sembravano poter cambiare il mondo, con una gioventù ancora più esaltata di oggi, più aggressiva, più intollerante e più sciocca con conseguenze devastanti e tragiche. Anche allora c'erano giornalisti politicizzati che facevano politica ancor più che cronaca e che speravano in un rovesciamento del Sistema soltanto per il gusto di poterlo raccontare.
Nell'anno di (dis)grazia 2023 di quella scuola non è rimasto nulla, è stata abbattuta e, sulle sue fondamenta, sorge un albergo stellato nel quale, prima o poi, troveremo modo di andare a celebrare la scomparsa di una 'istituzione'.
Nel frattempo una pattuglia di reduci tutti diplomati ragionieri nell'estate del 1980 continua a ritrovarsi qualche volta a Lucca, ma, più spesso, a Roma e lo fa, in genere, a primavera e a ottobre quando, cioè, la città, almeno dal punto di vista climatico, sa offrire il meglio di sé.
Per questa ennesima occasione è stata scelta una enoteca-osteria-pizzeria nel quartiere Prati il cui nome promette bene: Vino Bono. Si trova in piazza dei Prati degli Strozzi, un tiro di schioppo da piazzale Clodio dove sta il tribunale ordinario di Roma e da dove, salendo su per Monte Mario, si raggiungono sia l'osservatorio astronomico di Roma sia il belvedere dello Zodiaco, il punto più alto di Roma, situato sulla sommità del monte ad un'altezza di 139 metri e con una vista stupenda sulla città soprattutto la sera. Provatelo. Il titolare è Gianluca Lorrai. Il locale si divide tra la zona riservata all'osteria e la pizzeria. La prima sera proviamo la prima, la seconda andiamo per la pizza anche perché Roma, il sabato sera, è una bolgia e recarsi in centro è pressoché impossibile per il parcheggio introvabile.
Niente da dire, a Roma si riesce a mangiare spendendo meno rispetto a tante altre città anche della nostra regione. Ai tavoli c'è Giulia, 33 anni, simpatica, gioviale, accento romano marcato e velocità nel servizio. Quando un cameriere sorride è già un buon segno. Essendo in 11, una squadra di calcio composta di sette maschietti e quattro femminucce, si va per un antipasto diffuso scegliendo tra le specialità della casa tipicamente romane: polpettine di bollito, ottime, parmigiana di melanzane da urlo, fiori di zucca ricotta e timo, slurp!!!, pane, burro, stracciatella e alici calabresi - finalmente alici che non provengono dal mar Cantabrico che nessuno, o quasi, sa dove sia - polpettine immerse nel pecorino fuso azz... Che dire? a parte il fatto che riuscire a sfamare 11 bocche non è proprio facile, l'esordio è assolutamente top.
Dopo un breve periodo di riposo trascorso a rivangare episodi e storie, a commentare l'attualità politica e, anche, inevitabile vista la trasmissione Striscia la notizia che ci ha riguardato, il libro del generale Roberto Vannacci 'Il mondo al contrario', sbarcano sulla tavola tonnarelli cacio, pepe, menta, fiori e lime, spaghettoni alla matriciana, rigatoni alla gricia e, per chi è passato al secondo senza fermarsi sul primo, coppo di alici fritte, calamari e moscardini fritti, tagliata di manzo. Tutto più che buono, ma la carne, inutile dirlo, non è paragonabile a quella che siamo abituati a mangiare in Toscana, è proprio di un altro mondo. Bollicine Franciacorta e un fermo niente male per annaffiare la serata. Quindi, anche il dolce.
Qualcuno se ne esce con una frase che la dice tutta su come andassero le cose allora: "Se fossimo adesso a scuola ci saremmo beccati chissà quante denunce di bullismo". Una esagerazione senza dubbio, ma è vero che, negli anni della nostra più o meno spensierata gioventù, essere presi in giro e prendere in giro erano una abitudine consolidata. Difetti fisici, chili in più o in meno, troppo in più o troppo in meno, timidezza, bellezza o, soprattutto, bruttezza, davano luogo a spirali di inconsapevole goliardia che, solo a pensarci ora, verrebbe da vergognarsi. Erano, però, altri tempi e nessuno si sognava di andare a denunciare se non, ovviamente, nei casi di aggressione fisica, ma, a essere onesti, non ci riguardavano e non soltanto perché, con la politica, non volevamo avere niente a che spartire. L'amicizia prevaleva sul rosso e sul nero. Senza esitazione. Il calcio trionfava e le partite organizzate la mattina invece di studiare per il pomeriggio erano la regola anziché l'eccezione.
Alcuni sono già nonni, altri stanno per diventarlo, altri ancora non ci pensano proprio. C'è Alessandra Cristofori, bella ora come allora, fisico prestante nonostante, come tutti, abbia oltrepassato la soglia dei 60. Si sciroppa quattro o cinque volte la settimana vasche a pioggia di nuoto e quest'anno si è aggiudicata una miriade di titoli amatoriali. E poi ha grinta da vendere. E' nonna di due nipotini, ma lei a tirare i remi in barca non ci pensa proprio e, anzi, morde ancora il freno. Altro che pensione, poi, essendo una partita Iva, ha ancora anni da lavorare prima di godersela. Con lei Lorella Marinelli, bella, capelli lunghi e fluenti, bancaria anzi, consulente finanziaria, abita proprio di fronte all'ingresso dei musei vaticani. E' una donna intelligente, tollerante, accogliente. A casa sua cene luculliane. Accanto ha Tiziana Bardella, l'amica di sempre, anche lei bellissima, affascinante, elegante, ormai in procinto di diventare nonna. Due figli ovviamente grandi e il desiderio di prendere ancora, dalla vita, quel che è in grado di regalare, ottimismo senza esitazioni e, appunto, la capacità di saper prendere la vita per il verso giusto. Tutte e tre separate, ma, e vale per tutti e per tutte, chi avrebbe mai pensato, di fronte all'altare, che, un giorno, quella promessa di amore eterno sarebbe andata in frantumi?
L'anima della comitiva, quello che, ogni volta, organizza al nostro arrivo è Ubaldo De Francesco, nostro compagno di classe anche alle scuole medie Antonio Pacinotti sul viale Angelico sempre in Prati. Uno che, quando si mette a raccontare barzellette è, semplicemente, micidiale. E' di una simpatia unica e anche di una notevole profondità nel senso che, con lui, puoi confidarti su tutto e parlare di tutto. E', immancabilmente, ma come un po' tutti gli ex di un tempo, di sinistra, ma non si può essere perfetti e, comunque, è una persona intelligente nel senso che, sinistra o destra non importa, quello che conta è la persona. E' anche della Lazio, ma di quelli che soffrono se perde. Davvero. Lo ricordiamo tanti anni fa, di ritorno da un derby nel quale venne ucciso Vincenzo Paparelli. Lui era in curva nord, quella dei tifosi biancocelesti e ci saremmo dovuti essere anche noi che pur non essendo della Lazio andavamo ugualmente allo stadio. Giornata tragica e sconvolgente. Anche lui bancario, ma, per sua fortuna, in pensione.
In pensione anche Pietro Bagnoli, il portiere della squadra di calcio che al Maffeo Pantaleoni sfidava nel torneo interscolastico le altre classi. Il classico secchione, bravo e serio, onesto e buono, un po' sovrappeso adesso, ma chissenefrega. Ogni tanto finiva nel mirino dei più scavezzacollo per via di un presunto flirt con una certa Paola Violetti che chissà che fine ha fatto, anche lei molto dolce e amica come tutte le ragazze della sezione D. Questa sera è l'occasione per avere la smentita ufficiale dal diretto interessato: mai stato nemmeno un bacio!, un mito che crolla. Era bravo in matematica il Piotre e anche nelle altre materie. E tutti giù a copiare, si fa per dire.
A proposito di bullismo. Il Luca Tabanelli ci sferrò una volta, in classe, una testata al naso che ci fece molto, ma molto male. In tutti i sensi e l'Alessandra Cristofori che ci consolò. Era il 'pariolino' della classe, occhiali Ray-Ban specchiati a goccia opportunamente piegati, socievole, un po' sbruffone, jeans Wrangler e Clark ai piedi, fisico atletico e molto sveglio. In realtà abitava alla Balduina, altra zona che, all'epoca, era considerata abitata dai cosiddetti fasci ed effettivamente qualche sede del Msi da quelle parti c'era eccome. Non faceva, però, politica e amava andare in discoteca se la memoria non ci tradisce. Di fronte ha Paolo Diana, entrambi sono dottori commercialisti e, quindi, liberi professionisti che la pensione, come chi scrive, la vedranno fra qualche anno. Diana abitava in Prati in via degli Scipioni, accanto a piazza Risorgimento dove, nel febbraio 1975, venne ucciso lo studente missino Mikis Mantakas. In via Ottaviano c'era una ben nota sede del Msi e anche a noi capitò, una volta che ci trovammo a passarci davanti, di essere apostrofati e provocati dai soliti teppistelli in camicia nera. Erano giorni duri quelli, dove ammazzarsi era una ipotesi plausibile e uscivi di casa senza sapere se, la sera, saresti rientrato. Mantakas fu ammazzato proprio all'uscita della sede dove stavano anche i giovani del Fronte della Gioventù. Gli sparò due colpi di pistola Alvaro Lojacono detto Varo, militante di Potere Operaio che militò, poi, nelle Brigate Rosse partecipando all'eccidio di via Fani.
Paolo Diana giocava da libero, era un classico ed elegante centrale che, coma accadeva nel calcio di quei tempi, liberava l'area e ne usciva, a volte, palla al piede per impostare l'azione. A noi ricordava vagamente il difensore della nazionale olandese Ruud Krol. A casa sua si giocavano partite interminabili di Subbuteo e sulle stesse, nei giorni precedenti, si scommetteva in classe. Anche lui separato come l'autore di queste righe.
All'appello di questa sera mancano Giovanni Vergara e Fabio Senesi. Il primo, invidiatissimo, abitava proprio allo stesso civico dove stavamo noi, in viale delle Milizie, cuore di Prati, il papà era un colonnello dell'esercito e anche lui avrebbe, poi, ricalcato le orme paterne. Invidiatissimo perché, in terza media, aveva già il suo filarino e invece di venire a giocare con noi a calcio se ne andava al cinema con la fidanzatina. E noi giù a rosicare. Lui, adesso, non se lo ricorda, ma ce lo ricordiamo noi. E', probabilmente, il solo che è rimasto a vivere nel quartiere dove è cresciuto, gli altri hanno dovuto emigrare altrove. Al Pantaleoni era stato preso di mira dai sinistroidi perché non aderiva alle loro iniziative, e aveva in simpatia un grandissimo insegnante di inglese, il professor Massimo Panero, uno che era accusato e, forse, lo sarà anche stato, di essere 'fascista', ma il fatto è che non solo non lo faceva trapelare, ma era anche un bravissimo insegnante anche se non guardava tanto per il sottile. I suoi voti in negativo ossia sotto lo zero erano proverbiali. Toglieva mezzo voto per ogni errore e si faceva presto a scivolare nei bassifondi della classifica. Con Giovanni ci conosciamo dal 1972, ossia da ben 51 anni. Difensore roccioso che menava senza tanti complimenti. Tifoso acceso del Milan, rammento ancora quando, insieme, andammo a vedere la finale di Coppa Italia del 1974-75 all'Olimpico, in notturna, tra Milan e Fiorentina. Vinsero i viola con nostra somma esultanza per 3 a 2. Ci dispiacque per il povero Giovanni che non poté gioire.
Fabio Senesi abitava anche lui, come Luca, alla Balduina e aveva il papà che gestiva un negozio di accessori per bagno. Lui e il fratello Carlo, più giovane di un paio d'anni, erano, indubbiamente, biondi, belli e sempre ben vestiti. Maglioncini color carta da zucchero e Clark originali con gli immancabili Wrangler a tubo stretti in fondo alle caviglie di quel colore celeste meraviglioso. Bravissimo ragazzo e generoso, soprattutto quando, all'uscita da scuola, alle 13.30, in attesa alla fermata dell'autobus, era solito prendere il calzone alla rosticceria di fronte ed essere assalito da chi ne voleva un assaggio. Siccome all'epoca eravamo individualisti anche in campo, quando, sulla lavagna, lui faceva la formazione delle partite, voleva sbatterci fuori perché la palla non la passavamo mai. Era vero. Ma, alla fine, giocavamo sempre.
Siamo tutti seduti qui, a questo tavolo rettangolare in una serata mite di fine estate inizi autunno. Il tempo non è vero che non sembra mai passato, casomai la domanda è come sia stato possibile vederselo passare davanti così in fretta al punto da non essere riusciti nemmeno ad afferrarne un attimo per conservarlo esattamente così com'era. Ma così è la vita e importante sarà continuare a ritrovarsi per chissà quanti altri anni. Una generazione, come quella che l'ha preceduta, che mai si sarebbe immaginata di dover invecchiare, ma che, alla fine, volente o nolente ha dovuto prenderne atto.
Dimenticavamo: prezzo accessibile al Vino Bono, sia per il ristorante sia, il giorno seguente, per la pizza, niente male davvero. Noi, al solito, ci siamo tuffati nei supplì. Ne abbiamo presi e mangiati cinque: al ragù, con la 'nduja, alla parmigiana, all'amatriciana e con mortadella e crema di pistacchio. Da favola, solo chi è vissuto a Roma può capire cosa significa mangiarsi, lentamente, un suppli.
Delle pizze, sottili e con impasto di farina integrale, quella con la 'nduja ci ha steso rendendoci difficile mandare giù il boccone tanto era forte e piccante. Gianluca, il titolare, vedendoci in difficoltà, ha così commentato rivolgendosi a chi ci stava accanto: 'Noo vedi che sta a fa a schiuma...'. Fantastico.