Roma è Roma, e piombarci a primavera è, con l'autunno, una delle scelte migliori che uno possa fare. Fa caldo, quello sì, parecchio, ma la decisione di ritirarci in una villa splendida - Villa Albina - sulla Cassia e con tanto di piscina, allevia la sensazione di afa che opprime, soprattutto, nelle ore centrali della giornata. Venerdì, sabato e domenica, questo il nostro pellegrinaggio capitolino e se la sera del sabato la dedichiamo agli amici di sempre della scuola di ragioneria Maffeo Pantaleoni di via Maria Luisa di Savoia al Flaminio, quella di venerdì, questa volta, non ci sono dubbi, la pretendiamo e la prenotiamo dal nostro vecchio, si fa per dire, amico Alessandro Focolari fratello del famoso giornalista ex Rai di sci e non solo, che gestisce sulla via Trionfale in Prati il suo ristorante Panzotto dove capitammo, un paio di anni fa, per assaggiare quella che, a tutti gli effetti, era ed è una delle migliori carbonare de Roma.
Provatelo se venite a queste latitudini. Noi qui stiamo a casa o quasi, avendo vissuto per vent'anni a circa trecento metri di distanza, sempre quartiere Prati che ora è diventato dei radical chic verniciati di rosso e con le chiappe ben coltivate nelle istitzioni e negli enti nazionali e sobranazionali che qui a Roma imperano e pullulano mentre un tempo, mai troppo rimpianto, ospitava le famiglie di una operosa piccola borghesia in cerca non tanto di una sua identità, quanto di una sua affermazione sociale.
Con la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, con, in particolare, la dismissione di decine di migliaia di appartamenti da parte di alcune società immobiliari legate a filo doppio - e anche triplo - con il Vaticano, la più grande holding real estate d'Italia, ci fu una espulsione massiccia e solo chi poté permettersi di acquistare l'appartamento dove risiedeva riuscè a conquistarsi il diritto a restare dov'era. Per chi, e noi eravamo tra questi, non ci riuscì, la scelta tra alcuni quartieri della periferia e noi fummo fortunati perché tra Roma sud e Roma nord scegliemmo quest'ultima.
Così, ogni volta che transitiamo per viale delle Milizie o via Leone IV o anche via Famagosta, ci tornano in mente aneddoti e immagini di un tempo che fu. E percorrerle a piedi per raggiungere il Panzotto è una sensazione strana, ma anche piacevole e rilassante.
Al Panzotto, questa sera, abbiamo anche un ospite particolare per cui, senza esitazioni, ci gettiamo tutti su un doppio assaggio di pasta - carbonara rigorosamente e anche cacio e pepe - non senza prima, però, essere quasi... costretti a tastare gli antipasti che Alessandro prepara personalmente scegliendoli con cura e utilizzando prodotti legati al territorio che si va a trovare per conto suo. Sul vassoio di legno, però, inquadriamo e afferriamo un paio di supplì di dimensioni ridotte, ma sempre al telefono per via di quel filo di mozzarella che non si rompe mai una volta spaccato in due il supplì. E siccome piacciono a tutti, ma sono pochi, triplichiamo la richiesta perché se a Roma non mangi un supplì come si deve - e anche più di uno - è meglio che te ne torni da dove sei venuto perché de Roma nun ce capisci niente.
Ma l'ovazione esplode quando entriamo, appena appena, in cucina dove chef Antonio, sempre lui, sta preparando una carbonara da sballo gialla come er sole direbbe Venditti. E' un colore meravigliosamente vivo che trasmette gioia di vivere. Non ci sono spaghetti, ma quelle che potremmo definire mezze maniche e che raccolgono bene il sugo durante la mescolatura. C'è anche la cacio e pepe, tanta roba anche lei con una ulteriore bella spruzzata di pepe. Niente vino, non vogliamo esagerare.
Alessandro è una forza della natura, romano de Roma, un papà che era un personaggio straordinariamente vitale e anche pilota di aerei in guerra, quando comincia a raccontare si percepisce che dai suoi pori sprizza la romanità che è un insieme di simpatia, gentilezza, furbizia, esperienza, saper stare al mondo che, inevitabilmente, chi è nato e cresciuto qui si porta dietro.
Lui si diletta ai fornelli e ci racconta di un gulash ungherese fatto proprio come a Budapest. Gli crediamo sulla parola quando sostiene di avere ricevuto la ricetta da una persona del posto e di essercisi dedicato non si sa quante volte per prepararlo alla perfezione. La dieta la mandiamo alle spighe e accettiamo di assaggiare questa delizia. Chi sta con noi aggiunge delle spuntature di maiale, la nostra rosticciana cotte in un sugo che, dice sempre lui, è roba da leccarsi i baffi.
Infine papatine fatte come le fanno qui, che saranno pure fritte, ma sono fresche e leggere come una carezza al palato anche se croccanti. Stiamo vicini ad una libreria di via Emilio Faà di Bruno alla quale avevamo ordinato un libro che ci aveva incuriosito trattandosi di quello da cui era stato tratto il film dedicato agli ultimi giorni d Hitler nel bunker di Berlino. Le memorie della segretaria del Fuhrer, Fino all'ultima ora di Junge Traudl. Fatto sta che non lo avevamo mai ricevuto a Lucca e ci avevamo messo una pietra sopra fino a quando la proprietaria del negozio, gentilissima, ci aveva chiamato per dirci che il volume le era tornato indietro e che, quindi, le dicessimo cosa doveva fare per farcelo avere. Così abbiamo chiamato il vecchio compagno di scuola Ubaldo De Francesco che è passato a ritirarcelo e ce lo consegnerà la sera seguente durante la tradizionale cena a casa di Paolo Diana su uno splendido attico in zona Zio D'America a Talenti-Monte Sacro.
Bono er gulash, ma stop alle danze. Siamo full-up cioè pieni se non come uova, poco ci manca. Lo staff del ristorante ha avuto qualche nuovo innesto, essendo ancora presto per la cena dei romani del sabato sera, ne approfittiamo per sederci a scambiare quattro chiacchiere. In fondo, ciò che rende la vita diversa dalla non vita non sono solamente i soldi per viverla più o meno dignitosamente, ma le relazioni interpersonali, i rapporti umani, le emozioni che si riesce a trasmettere e regalare e che si ricevono. Alzarsi da un tavolo e sentire di essere più ricchi, anche solo umanamente e di poco, merita ogni spesa.
Siamo di fronte ad Alessandro che, seduto ad un tavolino e da solo, si sta sorseggiando e degustando una zuppetta di un particolare legume che acquista soltanto per potersi preparare queste delizie. Con questo caldo una zuppetta? Ci guarda sollevando il capo e, con semplicità tipicamente romana, ci dice che la zuppetta non è calda, ma è ad una temperatura volutamente fresca ed appositamente preparata in precedenza. Niente da dire, Roma, (se) non si discute, si ama.