Anno XI 
Lunedì 28 Aprile 2025
- GIORNALE NON VACCINATO

Scritto da francesco pellati
Politica
01 Maggio 2023

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Oggi si celebra la festa del lavoro, che non coincide con la festa di tutti i lavoratori, così come il 25 aprile si è celebrata la festa della liberazione che tuttavia non coincide con la festa di tutti i liberati.

Entrambe le feste sono di proprietà privata, non appartengono al patrimonio comune degli italiani bensì alla parte che se ne è appropriata. Che però si lamenta della non condivisione da parte degli esclusi e, da ultimo, della scarsa partecipazione fisica ma ancor più passionale degli italiani, soprattutto se giovani.

Domina qui, come altrove, la retorica:

quanto alla festa del lavoro è vero che squillano le trombe, che le ugole dei cantanti impegnati trovano eco in Piazza San Giovanni, e in tante altre piccole piazze San Giovanni in Italia, che la festa è viva, vegeta, partecipata; ma di festa si tratta, mentre i lavoratori si sveglieranno domani con nelle orecchie le gradevoli melodie dei cantanti e dei musici impegnati e le staffilate del compagno Landini (e del bombardiere Bombardieri che deve dirle grosse per segnalare di esserci), ma con i consueti problemi di busta paga.

Come succederà ai loro datori di lavoro che continueranno ad avere problemi di competitività internazionale e di carenza di mano d’opera qualificata, anzi ormai minimamente interessata alle loro offerte di lavoro.

In prima persona e non per racconti di terzi, la scorsa settimana cercavo addetti alla ristorazione per conto di un importante Gruppo che applica il vigente CCNL del settore: salario medio € 19.20/ora, orari definiti contrattualmente, incrementi percentuali in caso di lavoro notturno o festivo. Insomma la applicazione rigorosa delle regole contrattuali.

Dal Centro Impego di un importante Comune della Costa toscana mi è pervenuta la lista degli aiuto cuochi disponibili: n° 15 soggetti, di cui 9 stranieri e 6 italiani.

Certo nella ristorazione si lavora anche (soprattutto) di sabato, domenica e feste comandate, certo si finisce tardi di sera, certo i contratti sono prevalentemente stagionali perché il settore è stagionale, certo la busta paga alla fine contiene bene che vada 1.500/2.000 € al mese pur costandone più del doppio al datore di lavoro. Ma altrettanto certo che queste condizioni, su 15, interessano 9 stranieri (che sono il 10% dei residenti in Italia) e solo 6 italiani (che sono il 90%).

Checché ne dica la sinistra, quale che sia la sua indignazione, mi pare evidente che la “sostituzione etnica” agli italici fornelli è già avvenuta.

È lecito chiedersene i motivi oppure dobbiamo credere alla retorica della signorina Schlein, dei 5 stelle o di Landini, senza se e senza ma?

Il sistema produttivo italiano, in seguito alla cura da cavalli cui è sottoposto da decenni di sindacalizzazione politicamente orientata, vanta alcuni indicatori economici fra i peggiori in Europa:

salari netti bassi, costo del lavoro alto, produttività bassa, tassazione alta: difficoltà che non trovano rimedio e che si scaricano prevalentemente sul reddito di chi lavora.

Lasciamo agli studiosi i dettagli tecnici, ma ci sono numeri facili su cui ciascuno può riflettere.

Senza voler essere “oggettivisti”, la dottrina economica iperliberista di Ayn Rand, negata alla conoscenza degli italiani dalla monocultura cattocomunista dominante da decenni, è opinione universalmente condivisa che l’economia è governata dalla competitività del mercato, dominata dalla legge “naturale” della domanda e dell’offerta di beni e servizi.

Da cui nasce chi è contro e chi è a favore.

I sistemi economici che hanno sperimentato strategie economiche dirigiste/stataliste hanno tutti fallito portando i Paesi governati alla povertà e all’indigenza: senza eccezioni. Sfido gli amici di sinistra a citare un esempio di successo nel corso dei secoli e in ambito cosmico.

Nell’ultimo secolo la competitività si è allargata a tutto il mondo: i governanti dei Paesi occidentali (in Italia Romano Prodi, in America Bill Clinton) hanno trasferito la “fabbrica” nei Paesi terzi, in particolare hanno scientemente fatto ponti d’oro all’entrata della Cina nel WTO.

Due speranze li animavano:

- abbassare il costo dei prodotti in modo che più consumatori occidentali potessero usufruirne: la chiamarono “democratizzazione dei prezzi”.

- indurre la Cina ad abbracciare le “buone pratiche” dell’Occidente nella gestione democratica e pluralistica dell’economia e del potere politico.

Nessuno dei due obiettivi fu ottenuto: in Cina il libero mercato non ha mai preso piede, le pratiche anti-competitive promosse dal regime comunista sono continuate e della sperata apertura politica resta Xi Jin Ping: presidente a vita e Taizi, ovvero uno dei "Principi Rossi", cioè i figli e i nipoti dei protagonisti della Lunga Marcia e della vittoria di Mao nel 1949. I mandarini del partito comunista cinese sono selezionati per appartenenza generazionale come ai tempi della deprecata nobiltà; uno nasce Taizi predestinato come gli altri nascevano baroni o duchi.

L’eterna verità di Orwell: nella Fattoria degli animali “tutti gli animali sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri”.

Per di più

- i cinesi invasero i mercati con prodotti di infima qualità, che durano cinque minuti e poi si rompono. La deprecata pratica dell’usa e getta, del consumismo più sfrenato, ha trovato piena applicazione. I prodotti cinesi non si riparano, si buttano.

Per di più le nostre fabbriche di prodotti “correnti” hanno chiuso generando qualche milione di italiani che nemmeno può permettersi di comprare i cianfri cinesi, altro che “democratizzazione dei prezzi”!

Quanto poi alla democratizzazione del sistema politico cinese il naufragio è stato totale: partito unico, monocultura, turbocapitalismo di stato dominato da funzionari politici che godono dei risultati.

Perché, al di là della retorica, il reddito medio pro capite dei cinesi nel 2022 è stato di € 21.000 /anno, mentre in Italia è stato di € 50.000 e nei vituperati USA ad economia di mercato di € 76.000.

Il riparto di questo reddito? Anche qui numeri chiari: in Cina ne godono i vertici politico/militari, chi non ne gode sono i contadini e gli operai che non arrivano a € 5.000/anno. Vuol dire circa 150 milioni di cinesi con reddito superiore ad € 25.000/anno, ma un miliardo e 300 milioni con reddito da 3 a 5.000 € /anno. Questo il parametro - fra l’altro ottenuto a nostre spese - cui tendere?

Meglio smitizzare la retorica del lavoro e mettere più soldi nella busta paga di chi lavora con una migliore produttività e minori premi per chi di lavorare ha poca voglia.

Quanto alla Liberazione, basta dire che la maggioranza dei nostri padri fece un capolavoro: ci liberarono di colpo dalla oppressione del fascismo e misero in minoranza, dove stanno tuttora, gli oppressori del comunismo, allora sovietico oggi nostalgico quanto i quattro gatti che ogni anno vanno a Predappio.

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