Caro direttore,
fra gli invitati alle mie nozze di diamante (60 anni fa sposai la donna che risposerei) c’era un ebreo di cui sono amico da oltre mezzo secolo: non verrà.
Ha tre nipoti impegnati in uno dei due fronti. Due figli richiamati, cinque pronipoti da tenere lontano dai razzi e dai missili che piovono su Israele a centinaia al giorno dai terroristi di mezzo mondo mantenuti dall’Iran.
Al telefono mi racconta le difficili giornate di un ebreo a casa propria.
Credo di capirlo molto più della maggior parte degli italiani che non hanno la mia veneranda età.
Me la ricordo bene la guerra dei bombardamenti: un ricordo orrendo, ma ben poco trasferibile.
Non si può trasferire il fischio che precede lo scoppio, l’attimo per capire dove andrà a finire la bomba, la nuvola di fumo, la polvere delle case che crollano e aggiungono frastuoni, scricchiolii, schianti; l’odore acre che fanno le macerie e gli esplosivi, un odore che non ti scordi mai più.
Le membra squarciate esposte al sole e al vento, corpi disarticolati, smembrati, a pezzi, il sangue a fiotti che pulsa negli ultimi spasmi di vita. I lamenti dei feriti, l’affanno della ricerca dei sopravvissuti, la delusione di trovare i morti, la gioia di tirarne fuori anche uno solo salvo; il suono delle sirene, quelle dell’allarme prima, del cessato allarme dopo e il sibilo delle ambulanze che raccattano morti e feriti; il sapore secco e acre della polvere che ti entra nel naso, ti asciuga gli umori, ti impasta la saliva.
Lo sbalordimento dello spostamento d’aria che la bomba produce: per qualche minuto navighi in un mondo alieno, dal silenzio cupo, senza orientamento, con i piedi per terra ma coi sensi in un mondo ovattato, per poi ripiombare dentro alla realtà dolorosa e fragorosa.
Il mortale calore degli “spezzoni incendiari” che bruciano prima di toccare terra e continuano a bruciare ad incendiare, a distruggere
Il sollievo che per questa volta ti è andata bene, la paura della prossima volta.
Il conto degli amici e dei parenti che, invece, la bomba ha portato con sé.
Altro che il compassato simbolismo di Picasso nel farti vedere Guernica, invece i macelli veri di Dresda, di Coventry, ma anche del rione Campasso di Genova dove era casa mia che scomparve in una nuvola di fumo e in un frastuono infernale,
E non conoscono gli orrori peggiori, quelli della prima linea, il confronto col nemico, il guardarlo negli occhi mentre ti uccide o lo uccidi.
Ci sono andato vicino in Val Trebbia, dove eravamo sfollati dopo aver perso casa.
Lo scontro fra una formazione partigiana che comprendeva due miei cugini, intercettata dalla Wehrmacht: ai bambini fu consentito di cercare i parenti fra i ragazzi morti, stesi dentro i carri trainati dai cavalloni tedeschi.
Qui i rumori secchi, i ritmi micidiali delle mitraglie, i boati delle bombe a mano, gli scoppi dei mortai; odori nuovi, più chimici, poca polvere, nessun sapore.
Solo tanti morti: quelli pianti subito dalle madri e dai padri quando riconoscevano i figli, quelli remoti dei ragazzi tedeschi che erano venuti a morire in Italia, senza conforto di pianto, senza “urne dei forti”, ma ugualmente morti.
Per quanto ti sforzi non riesci a raccontare la guerra, quella vera, non quella che leggi nei libri o senti evocare nei discorsi.
Capisco l’amico ebreo, le sue paure, le sue ansie di padre e di nonno, il terrore delle bombe, quello di altri rapimenti.
Mi dice che i morti del 7 ottobre sono stati fortunati rispetto ai 251 uomini, donne, bambini rapiti da Hamas: hanno sofferto ogni abuso, ogni violenza, ogni umiliazione. Ne sono tornati 125. Ne sopravvivono forse 60; gli altri sono morti anche coi colpi alla nuca, come quelli innumerevoli sparati dai nazisti nei ghetti o i 22 mila sparati dai cekisti su ordine di Stalin per eliminare l’élite polacca nella foresta di Katyn.
Poi ci sono i bollettini di guerra, le straordinarie capacità di azione e reazione degli ebrei, i telefonini e i cerca persone tramutati in armi, le eliminazioni mirate dei capibastone, i cortei, l’anti ebraismo ideologico, il filo islamismo peloso.
Ma ci sono anche gli uomini, le donne, perfino i bambini di Gaza e del Libano che muoiono per le pallottole ebree, ma per il disumano cinismo di Hamas o di Hezbollah che nulla rispettano, che nel loro bestiale furore ideologico rapiscono, violentano, uccidono il nemico perché non ha diritto alla vita, è tornato untermenschen come ai tempi di Hitler, e per farlo usano a mani basse i corpi e le vite dei loro uomini, delle loro donne, perfino dei loro figli.