Gli Europei di atletica in corso confermano un mutamento sostanziale della società italiana: ad eccellere in alcune specialità non è di norma la razza “bianca”, e la presenza consolidata di ragazzi d’origine africana fra la nostra popolazione consente all’Italia di dire la sua anche nella velocità. Non poteva mancare lo sfruttamento politico dell’evento, sottolineando che questi ragazzi siano italiani a tutti gli effetti, come la Egonu. Nessuno tuttavia aveva negato che la nervosa Paoletta, Jacobs & Co., Mario Balotelli, Moise Kean etc., fossero italiani, a volte per adozione o perché i genitori avevano acquisito la cittadinanza. Peraltro di atleti sbarcati dai barconi, in effetti, non ce n’è gran copia. Ma l’abitudine di tanti fra i nostri politici allo spot – in cui dici due frasi imparate a memoria e magari neppure comprese, giocando sull’effetto acustico e semantico – fa sì che vi sia chi riesca a teorizzare che, per vincere in tutte le specialità sportive, occorra accogliere senza limitazioni. Pensavo che magari con l’aiuto di capitanA Karola Rakete potremmo attivare un po’ di traffico dal Brasile e dall’Argentina, dalla Spagna e dalla Francia, e riusciamo a ri-vincere il Mondiale di Calcio.
La presenza di atleti come i campioni citati, e di tanti altri, sta a dimostrare che è in atto un’integrazione che in un paio di generazioni muterà profondamente la composizione etnica del popolo italiano, e questo non è un male. Oggi è sufficiente andare ad assistere all’uscita di scuola per notare bimbi dalle fattezze africane, cinesi, arabe, indo-pakistane, interagire nell’inflessione dialettale del luogo coi loro amici italiani. Del resto anche nelle caserme e negli uffici di polizia non è raro notare queste presenze a dimostrazione che si possa convivere e prosperare insieme.
Negli Stati Uniti la presenza degli afro-americani, prima confinata al ruolo di schiavi, ha arricchito quel Paese, a conferma che, fornendo cultura e opportunità, anche i discendenti di popolazioni meno evolute potessero raggiungere vette d’eccellenza.
Del resto le migrazioni dei popoli sono una costante della storia, e non ci si può opporre “a prescindere”. Nessuno fermò Goti, Vandali, Unni etc., quando strariparono oltre il limes – inizialmente pacificamente, chiedendo asilo e terra da coltivare, come ci ricorda Alessandro Barbero sul suo “Il Giorno dei Barbari” – e distrussero progressivamente l’impero romano. E nessuno fermò i bianchi che invasero Americhe e Oceania.
Ciò non toglie che vi sia un limite fra una migrazione che arricchirà la società e una che la devasterà. Non è un caso che in Italia, in più occasioni, si sia cercato di regolarizzare i flussi, consapevoli di aver bisogno di mano d’opera. Ciò comporta costi, che sono investimenti, a condizione che non si gettino le risorse al vento. Occorre che quello da affrontare sia uno sforzo sostenibile, per usare un termine di facile comprensione.
Quando vedo l’uso e l’abuso che fa una certa parte del termine “sostenibile”, diciamo che sorrido. L’agricoltura e l’allevamento devono essere “sostenibili”, come l’economia, e la casa che vogliano costruirci, ma guai a provare a chiedere se si ritenga “sostenibile” ospitare, sfamare, foraggiare di RdC e sussidi una moltitudine di persone incontrollatamente ammessa all’accesso, quando non si hanno i mezzi finanziari per integrarle e inserirle nel mondo del lavoro. Lì la sostenibilità non è più il faro cui informare ogni scelta, e si cambiano i punti di riferimento.
Bello rispettare i valori umanitari, ma non mi pare sia coerente salvarli dalle onde per lasciarli senza pane e lavoro sotto i portici, nelle bidonville e nelle stazioni, preda della criminalità, ma anche liberi (una parte) di seguire la propria inclinazione a delinquere. E non mi pare che chi fosse per l’accoglienza illimitata garantisse trattamento e soluzioni migliori.
Forse, davvero, con le risorse che indubitabilmente son presenti nei luoghi di partenza, un tentativo per crearvi condizioni di vita migliori potrebbe essere una valida soluzione percorribile.