Il conflitto in Ucraina, nato per Putin come “Operazione Militare Speciale”, ha vissuto, sostanzialmente, tre fasi. L’attacco concentrico russo, finalizzato a risolvere il problema rubando il tempo all’avversario, fallito per l’inaspettata volontà di resistenza del presidente Ucraino e del suo popolo, e per il sottodimensionamento dello strumento russo. La velleitaria controffensiva ucraina, che probabilmente aveva tutti i caratteri per fallire in quanto:
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preannunciata, quindi priva della segretezza che deve avvolgere ogni azione;
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prolungata e insistita, quando è noto che un’offensiva, o controffensiva che dir si voglia, poco cambia, i migliori risultati li coglie nei primi giorni. Dopo si finisce per triturarsi l’un con l’altro, e vince il più forte. E non c’era neanche da formularlo il dubbio circa chi disponesse di maggiori risorse;
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la ripresa offensiva russa, lenta, ma inesorabile.
Con la speranza che potesse trionfare quel principio dell’autodeterminazione dei popoli, che formulato con insistita pervicacia a partire dal 1848, ha disegnato l’Europa più o meno come si presenta adesso, l’Occidente ha sostenuto l’Ucraina, giungendo anche a ritenerne accoglibili le richieste di entrare a far parte dell’Unione Europea e della NATO, dimenticando due particolari d’ordine storico.
Prima di tutto, in qualche caso il soddisfacimento di tale sacrosanto principio di politica internazionale ha causato guerre disastrose, in altre tutto è filato liscio come l’olio. La situazione più favorevole si è verificata quando il gigante oppressore da debellare era impegnato altrove e doveva, giocoforza, mollare da qualche parte e concentrarsi dall’altra.
Inoltre nel 1939 l’Unione Sovietica di Stalin ha aggredito la Finlandia che, aiutata da più stati europei, Italia compresa, ha offerto una valorosa resistenza, ma alla fine ha dovuto cedere, perdendo la metà orientale della penisola su cui aveva giurisdizione. I sovietici subirono perdite spaventose, ma coerenti al loro passato, come confermarono successivamente fino ai giorni nostri, le sostennero tranquillamente, fino all’inevitabile vittoria per consunzione del dispositivo finnico.
Esiterebbero innumeri altri argomenti su cui discutere, ma soffermiamoci su questi.
La Russia di Putin non fronteggia altre situazioni di crisi, e quando ha deciso di riprendersi prima Crimea, poi Donbass, non era neanche più impegnata all’interno, essendosi consolidato a sufficienza il regime dell’autocrate ex-KGB.
Contestualmente ha dimostrato di poter ancora subire perdite spaventose senza sfaldarsi, forse consapevole del divario immenso con il suo avversario.
Quali lezioni possiamo trarre, da questo?
Innanzitutto che gli aulici principi della libertà dei popoli di scegliersi la forma di governo, meravigliosi quanto si vuole, cedono di fronte al gravame della realtà. Se l’avversario è troppo forte, inutile incaponirsi. Per tutte ricordiamo le Guerre d’Indipendenza italiane. Nella 1^ (1848-’49) il Regno Sardo, ingannato e abbandonato dagli altri staterelli pre-unitari, le prese sonoramente dall’Austria; nella 2^ (1859) vinse aiutato dalla Francia; nella 3^ (1866) le prese, ma vinse perché almeno s’era scelto un buon alleato, la Prussia. Come fece in extremis con il Patto di Londra, nella 1^ Guerra Mondiale.
Inoltre, a dimostrazione che la scelta del momento sia fondamentale, dopo la 2^, col gigante cattivo fresco di sconfitta, senza colpo ferire il Regno Sardo riuscì ad annettersi in meno di 2 anni l’intera penisola, con una serie di plebisciti, Garibaldi e i suoi volontari, e una passeggiata che fu nobilitata dalla cosiddetta battaglia di Castelfidardo, che meglio sarebbe qualificare combattimento.
In secondo luogo l’Europa, e la NATO, sanno quanto la Russia sia disposta a pagare per ribadire di essere una potenza mondiale. Contestualmente nel teatro operativo afghano hanno avuto modo di toccare con mano quanto “loro” NON siano disposte a pagare in termini di vite umane.
Cosa potrebbe derivarne, ora?
L’Ucraina verrà caldamente invitata a cedere, magari con una serie di impalpabili micro-provvedimenti, o rifiutando l’appoggio diretto, che poi è la stessa cosa, perché Zelensky senza soldati non può resistere. Lo stesso presidente USA comincia a non essere più così convinto di protrarre o spiralizzare la guerra, dimostrandosi favorevole a seri colloqui di pace in Svizzera.
Con la Russia, se si vuol evitare un conflitto di proporzioni mondiali, può essere pagante cedere terreno, in cambio di pace e rispetto della libera navigazione mercantile nel Mar Nero. Sperando in uno di quei vichiani ricorsi storici che, come consentirono la riunificazione della Germania e la concessione della libertà a paesi baltici, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria, Moldavia, possano fra 50 anni restituire quelle terre all’Ucraina. Sognare non costa sicuramente quanto combattere.
Putin si è giocato una percentuale significativa della sua marina, e la sua vittoria l’ha avuta. Potrebbe bastargli.
L’Occidente comprenderà che il pericolo può tornare, e che stavolta il tempo deve impiegarlo meglio, per armarsi in modo da costituire deterrente?
E armarsi non vuol dire solo disporre di armi, ma anche della volontà del popolo di sacrificarsi, come ha fatto quello ucraino. E questa è la cosa più complessa da realizzare. L’Impero Romano crollò anche perché perse la sua propensione al sacrificio militare.