Erano belle, le sex worker di mezzo millennio fa, altrimenti dette “cortigiane”? Certo, anche perché dovevano esserlo! Belle e, soprattutto, appetibili. Anche per ragioni sottilmente legate alla morale cristiana. Più i loro corpi, infatti, si presentavano seducenti e ammalianti, in egual misura, per i loro amanti, diminuiva la colpa. Era stato san Tommaso ad affermare che “un peccato è tanto meno colpevole quanto più si è spinti a commetterlo… Se la resistenza è difficile, il peccato ne viene diminuito”. E ribadiva il Dottore Angelico che “la colpa è tanto minore quanto più forte è la concupiscenza da cui uno è stato vinto”. Quindi, le nostre donzelline erano tenute a essere affascinanti e maliarde, provocanti e desiderabili secondo i canoni estetici in voga nel periodo, che per il Rinascimento sono la linea curva, la forma tonda, l’opulenza ruscellante delle carni. È così che vagheggia la donna Torquato Tasso, il più grande malinconico sognatore della nostra letteratura: “ella era grande di statura, di persona proporzionatissima, bionda e bianca e tutta piena di sugo e di grazia nel volto e nel movimento”.
Trenta erano gli elementi che facevano la bellezza femminile: almeno secondo il medico, metereologo e magistrato ravennate, Thomaso Thomei che nella sua opera più famosa, Idea del giardino del mondo, 1586, ce li presenta distinti a tre a tre:
Tre bianche: carne, denti e faccia.
Tre negre: occhi,ciglia e petignone (pube)
Tre rosse: labbra, guance e unghie.
Tre longhe: : persona, capelli e mano.
Tre corte: denti, orecchie e piede.
Tre larghe: petto, fianco e fronte.
Tre strette: bocca, natura e centura.
Tre grosse: coscie, culo e natura.
Tre sottili: capelli, labbra e deta.
Tre picciole: bocca, naso e mammelle.
Si tratta, comunque, di donne che sono entrate, talora con qualche merito, nella storia dell’arte, della letteratura, della politica, della diplomazia, della finanza.
Qualche nome? La celeberrima Tullia d’Aragona, cortigiana dalle aspirazioni intellettuali, errabonda tra Roma, Venezia, Siena e Firenze; la veneziana Veronica Franco, “sacerdotessa d’amore”, sensuale e spregiudicata al punto da richiamare su di sé l’attenzione dell’Inquisizione; la romana Imperia che fece innamorare il banchiere più ricco del suo tempo, Agostino Chigi, ma destinata a morire suicida per amore di un patrizio romano. Per limitarci alla sola Roma ricorderemo, poi, una madonna Giovanna, ‘cortesana’ spagnola che arrivava a pagare un affitto di ben cento scudi per utilizzare gli ambienti di una dimora patrizia; madonna Smeralda, con le sue tre figlie tutte ‘piacevoli cortigiane; un’assai avvenente Faustina, le cui tariffe, dai dieci ai dodici scudi per una notte d’amore, allontanarono il giovane e squattrinato Brantome che dovette limitarsi a parlarle e a guardarla.
Fiammetta Michaelis
Più di una semplice citazione merita Fiammetta Michaelis, fiorentina, giovanissima meretrice figlia di meretrice, che, arrivata a Roma nel 1478, “damigella di singolare beltà” appena tredicenne, fece innamorare di sé il colto cardinale umanista Iacopo Ammannati, continuatore dei Commentarii di Pio II. Una relazione che durò poco meno di due anni: a fare scandalo non fu tanto l’amicizia intima tra l’alto e maturo porporato e la jeune fille, quanto piuttosto la cospicua eredità che l’ecclesiastico pensò bene di lasciare a Fiammetta nel momento di congedarsi da questo mondo. Più d’uno si sentì defraudato e gridò all’intrigo, al complotto, alla cospirazione. Fu costretto a intervenire lo stesso pontefice Sisto IV che decise di… non decidere e di affidare la spinosa questione al giudizio di una commissione. Questa si riunì più volte, discusse, almanaccò, differì, tergiversò e, alla fine, scelse di dare soddisfazione a tutte le parti in causa senza scontentare nessuno. Così Fiammetta, ancora sulle soglie dell’adolescenza, se anche vide ridotti i lasciti testamentari a suo nome, pure acquisì ben quattro prestigiose proprietà immobiliari, tra cui la bellissima residenza a due piani con portico e altana in via degli Acquasparta che ancora porta il suo nome. Qualche anno più tardi, la leggiadra cortigiana divenne per lunghi anni l’amante di Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI e fratello di Lucrezia. Celebrata da tutti per la sua avvenenza che sembrava rimanere inalterabile nel corso degli anni, Fiammetta nel suo testamento lasciò disposizioni perché le fosse eretta una cappella in Sant’Agostino, la chiesa preferita dalle ‘cortigiane oneste’ quando erano in vena di ripensamenti penitenziali e luogo deputato alla loro sepoltura. Una piccola piazza nel rione Ponte, a Roma, porta il suo nome e la ricorda ancora.