Personaggio eclettico il pittore universalmente conosciuto come il Cigoli, dal nome dell’antico castello sanminiatese tra Pisa e Firenze, che, col nome di Lodovico Cardi, qui venne al mondo nel settembre 1559. Grande artista, le sue opere sono presenti oltre che in numerosissimi palazzi, ville e chiese della Toscana, in primis a Firenze, anche nei più importanti luoghi di culto della capitale della cristianità, conservate e ammirate in non poche Gallerie di tutto il mondo.
Pittore, dopo aver studiato gli effetti della prospettiva e la correttezza nel disegno del corpo umano col maestro di Sansepolcro Santi di Tito (1536 - 1603), seppe andare oltre l’accademismo dell’ormai esangue tarda maniera fiorentina per ricollocare la sua esperienza figurativa sui più moderni modi espressivi del Correggio (1489 - 1534), del Barroccio (1528 - 1612), di Tiziano (1490 - 1576). Architetto, allievo e aiuto del Buontalenti (1536 - 1608), lavorò con esiti di suggestiva eleganza nella città dei Medici, dove al Canto de’ Pazzi nel centro di Firenze ha lasciato il cortile del “Palazzo non finito”, e a Roma. Fu anche scultore e, come se non bastasse, si rivelò penna tanto fine e acuta da essere accolto (1603) tra i primi nella severa Accademia della Crusca da poco costituita. Appassionato di matematica, fisica e scienze naturali ebbe relazione niente meno che con Galileo: studenti di matematica l’uno e l’altro presso Ostilio Ricci da Fermo, uomo di solida preparazione scientifica al servizio del Granduca, tra i due esiste un epistolario che inizia nel 1609 e si interrompe un mese prima della scomparsa del sanminiatese. Nelle sue pagine l’artista si interessò delle prime esperienze e pubblicazioni dello scienziato: lo informò sul dibattito scientifico che si andava sviluppando nella Città dei papi; individuò con acuta nettezza i favorevoli e i contrari alle tesi galileiane. Quanto fosse forte il legame d’amicizia tra i due lo ribadisce anche la rappresentazione della luna realizzata dal Cigoli nella Immacolata Concezione presenta nella cappella Paolina della chiesa di Santa Maria Maggiore a Roma: la stessa che il Galilei aveva rappresentato all’acquerello in uno dei suoi studi sui movimenti del nostro satellite.
Ma gli interessi del multiforme ingegno di Lodovico Cardi non si fermarono qui. Già da tempo famoso per i suoi risultati nel campo delle arti figurative si fece suonatore di liuto, - “un’esquisita maniera di suonare il liuto”e anche in tale attività eccelleva, “onde ben spesso per la musica e per lo sonare tale strumento, dava di grandi riposi a’ pennelli”. Autore dei disegni per le scenografie utili alla Corte medicea per l’esaltazione delle vicende familiari (nozze, battesimi, genetliaci, funerali...), fu la pittura la sua vera passione. Così scrive in proposito il nipote Giovan Battista nella biografia dello zio: fu “di tal talento nella pittura, che, in quella affaticatosi, è stato di non poca utilità ai posteri, non tralasciando d’intendere qualsivoglia cosa ad essa giovevole”. Chiamato a Roma dal pontefice Clemente VIII, lavorò anche per papa Paolo V Borghese, dipingendo la volta della cappella Borghesiana in Santa Maria Maggiore e portando a termine, per la stessa Basilica, il celebre dipinto di san Pietro che guarisce lo storpio. Per la sua abilità e la completa dedizione all’arte sempre dimostrata, Paolo V si adoperò perché il samminiatese venisse insignito dell’importante titolo di “cavaliere professo dell’ordine Gerosolimitano di Malta”: un riconoscimento di assoluto rilievo nella Roma barocca e controriformista dove la carriera di Lodovico Cardi sembrò farsi irresistibile. Per la sua capacità di travalicare l’accademismo della tarda maniera fiorentina avviato a larga fama, il Cigoli non fu sicuramente esente da invidie e gelosie, che, però, in genere fin da subito furono temperate e corrette da un’indole mite, gentile, pensosa, lontana da ogni esibizione di orgogliosa superiorità artistica. In un tempo che amava l’ostentazione e l’affettazione, la sua “cifra” personale fu sempre quella di una grande umiltà. Solo la morte fermò la sua ascesa e la sua tensione a individuare il mistero della vita e i modi migliori per coglierlo attraverso l’arte, le sue modalità, le sue tecniche.
L’8 giugno 1613 Lodovico venne inopinatamente a mancare, vittima di quelle febbri maligne, ovvero la malaria, che si ripresentavano, in maniera largamente letale a Roma all’inizio di ogni estate. Solenni le sue esequie nella chiesa “nazionale” di tutti i Toscani presenti nella Città eterna, San Giovanni dei Fiorentini, voluta un secolo prima dal papa Medici, Leone X (1513 - 1521), ancora priva di cupola terminata dal Maderno solo nel 1620. Qui le spoglie del Cigoli ristettero per alcuni anni, sin quando i nipoti ne curarono il trasferimento delle spoglie nella bella chiesa fiorentina di Santa Felicita, nella zona di Oltrarno tra Ponte Vecchio e Palazzo Pitti.