Roma. Liceo Classico statale “Virgilio”. Primi anni ‘60. Ho sedici anni ed inizio il primo anno di liceo. Compagni di classe di estrazione sociale medio-alta; siamo solo in due di origini umili: il mio compagno di banco Giuseppe ed io. C’è una disciplina che affrontiamo per la prima volta: la STORIA DELL’ARTE. Entra in classe la professoressa ISA BELLI BARSALI che, da subito, non cela il suo accento toscano. Dopo tre spiegazioni, ce lo diciamo, Giuseppe ed io: <<Questa professoressa ha una marcia in più>>. E che marcia! Le sue lezioni infiammano. Benché il termine non sia molto nominato, la Bellezza è dominante e ci viene iniettata in dosi massicce.
Un giorno mi volto verso Giuseppe: “Ma com’è possibile che scultura greca e scultura romana siano così diverse?” La risposta non posso sentirla perché la professoressa mi ha visto disattento (cioè non avevo sguardo e volto dritti verso la cattedra!). E alla cattedra vengo chiamato ed interrogato sul Trono Ludovisi. Con una fatica enorme strappo un 6 - -, e la professoressa mi appare, ancor di più, una montagna troppo alta da scalare: d’altra parte, se un alunno troppo facilmente rimproverato, ammira ancor di più la sua insegnante ci deve essere una ragione speciale.
Poi “arriva” Piero della Francesca: due lezioni indimenticabili. Io ho un vantaggio: essendo figlio di un dipendente delle Ferrovie, posso viaggiare in treno senza pagare. Così vado ad Arezzo ed entro in San Francesco col cuore gonfio di emozione. Ne esco, dopo quasi due ore, ancora più frastornato: anche Piero è una montagna troppo alta da scalare!
Viene il momento in cui mi accorgo che la mia professoressa mi stima. Perciò mi azzardo a chiederle di leggere le mie poesie. Dopo due settimane me le restituisce: <<Oh, Leandro, ci sono molti punti infantili… troppi… ma questa è la tua strada!>>.
All’esame di maturità la Commissaria -esterna- di Storia dell’arte rimane sbalordita dal rendimento complessivo di noi studenti (soprattutto dal rendimento del mio compagno di banco)…
Nell’anno accademico 1965-’66 io entro all’Università come studente, lei come insegnante di una disciplina che porta ai vertici internazionali: l’Archeologia medievale. Cogli anni l’amicizia progredisce: ricevo l’onore di esser presentato a suo marito, anche lui lucchese doc, Mario Barsali, storico della Treccani: sono loro, tuttora, le due persone di più elevata cultura umanistica che io abbia mai incontrato. L’amicizia ormai ha spiccato il volo senza che io riesca mai a dare del tu alla mia amata professoressa di Storia dell’arte… Alla fine del 1986 è fissato il mio matrimonio. Anche la mia futura moglie stima tanto Isa e Mario, che sono tra i primi invitati… ma il dramma è dietro l’angolo: venticinque giorni prima del matrimonio, dopo una fulminea malattia, Isa ci lascia. La mia futura moglie ed io prendiamo in considerazione l’idea di rinviare il matrimonio, ma Mario se ne accorge e non sente ragioni. Il giorno del matrimonio ci arriva un suo telegramma di felicitazioni firmato “Isa e Mario” (lo conservo ancora con gratitudine immutata).
Ed ogni tanto sono accerchiato da ricordi dolcissimi. Una volta, a casa sua: “Professoressa, il contorno di fagioli e cipolle di Tropea è il migliore abbinamento d’Italia…” -“Nossignore, quello di Lucca è superiore…”. 30 minuti senza vincitori né vinti. Un’altra volta, in Galleria Corsini di Roma, visitando i quadri del lucchese Pompeo Batoni: “Professoressa, come mai queste donne sono così ‘cicciotte’e così colorate in viso?” -“Perché nel ‘700 si usava così” -“Professoressa, sa che il Premio Nobel indiano 1913 -Tagore- dopo aver visitato la Toscana, ha scritto che era tutta bellissima, ma che non capiva le tante mura, per lui costruzioni non pacifiche, basate sulla diffidenza?” -“Invece tu che ne pensi?” -“Che quelle di Lucca sono di un’eleganza ineguagliabile” -“Sapessi quante volte siamo stati sul punto di perderle! Per fortuna i Lucchesi hanno un grande spirito di indipendenza… né toscani né liguri…”. Tra gli ultimi, in ordine di tempo, un ricordo preziosissimo. Dopo aver letto un mio copione cinematografico, lei e il marito mi dicono: “È un lavoro pieno di pudore… intellettuale e psicologico…” Ne sono ancora certo: qualcosa di decisivo per la mia autostima professionale.
Ma per un altro dono rimango e rimarrò debitore -in assoluto- alla professoressa Belli: lei ha fatto entrare per sempre la Bellezza nella mia vita. Contro ogni tipo di morte.