Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera di Alberto Angeli che, in tempi di emergenza Coronavirus, richiede una politica attiva per gli anziani.
“La Vecchiaia è un tema non accademico” sono le parole con le quali Norberto Bobbio incomincia le sue considerazioni sulla vecchiaia nel saggio De Senactute, precisando che il tema è da lui affrontato non in termini filosofici. Il taglio del saggio è introspettivo e, a ben considerare, autobiografico al punto da lasciare trasparire un’incompatibilità con la stringenza argomentativa e il distacco emotivo che pertengono al discorso filosofico. E tuttavia non riesce a tenere la filosofia del tutto fuori della porta. Parlare di vecchiaia significa infatti parlare del senso e delle prospettive dell’esistenza umana, Pensare infatti di poter escludere il tema della vecchiaia dall’analisi filosofica è storicamente confutata dalla frequenza con cui il tema della vecchiaia, come dato problematico, compare nelle elaborazioni, più o meno sociologiche e filosofiche, degli ultimi due secoli. Qui la memoria corre al testo il De Senectute di Cicerone o alle molte trattazioni retoriche della saggezza o dei mali della vecchiaia, che costellano la storia della cultura occidentale, dalle quali elaborazioni si apprende come la vecchiaia di-viene oggetto della ricerca filosofica solo a partire dal secolo XIX. Seguendo questo percorso si potrebbe addirittura affermare che, come la tematizzazione dell’esperienza dell’essere vecchi costituisce l’inevitabile riscontro della costruzione romantica della giovinezza, divenuta modello esistenziale di riferimento, la vecchiaia in quanto problema filosofico è un’invenzione successiva a Kant.
E tuttavia, non pare che sia stata la filosofia a imporsi come strumento di analisi della vecchiaia, evidentemente per ragioni legate alle trasformazioni socio/economiche, da cui hanno preso corpo cambiamenti strutturali e antropologici della società, che spiegano l’interesse via via crescente per la cosiddetta terza età studiata ricorrendo alla sociologia. Infatti, il complesso passaggio da una società statica a una società dinamica, connesso all’industrializzazione e i suoi effetti sulla concezione dell’identità personale, sulle relazioni familiari e sui rapporti tra famiglia e istituzioni sociali, hanno determinato l’esigenza di ricollocare culturalmente questa fase dell’esistenza, divenendo, la vecchiaia, oggetto d’indagine, con l’intensificazione degli studi da parte delle scienze medico-biologiche, della geriatria o della psicologia e, in misura massiccia, della sociologia, della storia della medicina e dei cosiddetti cultural studies, e ciò ha messo in moto un dibattito che coinvolge diversi approcci disciplinari.
Oggi questo dibattito sembra avere perso la sua capacità suscitatrice di quella poesia in cui l’anziano occupava una centralità sociale e storica, quale deposito dell’esperienza e della saggezza e quindi custode del nostro passato sul qual poggiare saldamente le radici del nostro futuro. Un cambiamento causato da un virus sconosciuto, invisibile e terribile, che in pochi giorni ha nullificato il pensiero impegnato sulla vecchiaia, sulla ricerca del valore e del senso culturale di questa condizione di vita rappresentata dalla vecchiaia. Tutto è cambiato. Oggi contiamo migliaia di morti, quasi tutti vecchi.
“Qui, in numerosi territori, con tante vittime, viene decimata la generazione più anziana, composta da persone che costituiscono per i più giovani punto di riferimento non soltanto negli affetti ma anche nella vita quotidiana”. Questo ha scritto il nostro Presidente Mattarella all'omologo tedesco Frank-Walter Steinmeier, mentre i bollettini della guerra, che ci vede impegnati contro il coronavirus, scandiscono numeri terrificanti degli anziani deceduti. L’anziano non è più il tema della filosofia e alla sociologia si è sostituito il bollettino dei caduti, appunto perché “anziani” e sicuramente portatori di altre patologie e quindi più esposti, prede del coronavirus perché la medicina, la scienza manca degli strumenti sanitari da attivare a loro difesa. Questa è la semplificazione che è esposta nei quotidiani bollettini delle h 18,00 da parte della Protezione Civile, con la serietà e meticolosità accademica che richiede l’esposizione dei dati statistici, senza che sia data un’informativa sulla tipologia dell’assistenza praticata e la circostanza del decesso. Certo, i posti di terapia intensiva respiratoria sono insufficienti, e anche i posti di sub terapia respiratoria non coprono le impellenti necessità che il diffondersi dell’epidemia richiede, ma questo, appunto, suscita più di una preoccupazione in chi è anziano e ascolta le molte voci di specialisti e responsabili di strutture sanitarie, un parlare elegante dal quale proviene un flebile messaggio: i posti sono pochi e potremmo essere indotti a fare delle celte. Ecco che allora, la raccomandazione a non uscire, alla Boris Johonson per intenderci, rivolto agli anziani ha una sua salutare ragione e una involontaria confessione di impotenza.
Sicuramente, sono sorprendentemente esibizionisti i molti medici specialisti in qualcosa, che si esibiscono nelle interviste, nei talk show, ognuno a dare una sua interpretazione, una sua ricetta e muovere una sua critica in ogni direzione, apparendo in competizione con la schiera di quei giornalisti che passano le loro giornate girando tutte le sedi televisive a esporre il loro pensiero, la loro visione su temi e problemi scientifici, ignorando la sofferenza dei molti anziani, e di quanti lavorano esposti al rischio di contagio e quindi a loro volta contagiare i propri familiari, che includono genitori e spesso i nonni.
Il COVID 19 ha interrotto il sogno della ragione e della novella legata alla vecchiaia. Non c’è da perdere tempo nella filosofia, ora, né nella sociologia. Saranno i temi del domani. Oggi si tratta di mettere a disposizione degli anziani difese attive, di sostegno, aiutando gli anziani con ogni mezzo impedendo loro di uscire ed esporsi al rischio di contagio: dovrebbero essere i sindaci a occuparsi di questa organizzazione per i rifornimenti alimentari, medicinali e di quanto altro sia necessario, avendo la disponibilità e conoscenza della propria popolazione e lo stato disporre i mezzi finanziari e la dotazione di uomini e mezzi di mobilità, pe rivalutare una politica a favore dell’anziano che oggi non pare costituisca una delle priorità della nostra società".