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Scritto da aldo grandi
Enogastronomia
09 Febbraio 2022

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Ad un passo dal compiere i suoi primi 59 anni di età, Roberto, Bobo per tutti, Rondelli, provenienza labronica di scoglio, da un po' di tempo a questa parte si è innamorato di Lucca e ha scelto la città delle Mura per esibirsi con i suoi testi e non solo, e la sua chitarra, in un luogo che è, a tutti gli effetti, divenuto una sorta di punto di riferimento per coloro che amano la tradizione e il senso di identità e di appartenenza che riesce a trasmettere. Ormai da tre settimane e il full-up è garantito, il cantautore livornese, infatti, è ospite gradito e atteso del ristorante Mecenate di Soledad e Stefano De Ranieri in via dei Fossi, una coppia inossidabile della enogastronomia lucchese sin da quando, alcuni lustri or sono, era solita accogliere i propri avventori in quella stupenda location a Gattaiola.

Con Stefano e Sole ci conosciamo da tempo immemore e non c'è nemmeno bisogno di parlarsi o salutarsi per sapere che, in fondo e nonostante le innumerevoli trasformazioni dell'esistenza, ci siamo sempre stati. Noi per loro, loro per noi. Sin da quando, nei primi anni duemila, Stefano De Ranieri organizzava le presentazioni dei nostri libri e il papà scendeva a conoscerci e a scambiare quattro chiacchiere in compagnia. E' stata questa, sin da allora e anche da prima, la caratteristica principale, come atmosfera, che ha contraddistinto i locali aperti dai coniugi De Ranieri, lui lucchese doc, una militanza giovanile nel movimento e lei piovuta a Lucca proveniente dalle pampas argentine. Un mix che ha funzionato alla grande, lei in cucina sempre più brava ed esperta, lui ad accogliere e coccolare i clienti.

Dopo aver chiuso Gattaiola, il Mecenate si è trasferito, armi e bagagli, nel cuore del centro storico, lungo via dei Fossi, ma anche in quella piazza San Francesco che, per la città, la sua storia, le sue origini politiche e sociali, rappresenta, da una vita, l'anima della sinistra lucchese. A pochi metri dal locale, infatti, sta la sede storica del partito democratico una volta molto meno democratico, ma non per questo meno importante e significativo.

Bobo Rondelli è un livornese del quartiere Pontino, una zona della città amaranto che si sviluppa tra la Fortezza Nuova e le Mura Leopoldine. Il suo nome deriva dal ponticello che solca il canale dei Navicelli, costruito nel Cinquecento per collegare Pisa al porto di Livorno. Oggi, alla soglia dei sessant'anni, Rondelli guarda alla sua città con disincanto e, probabilmente, anche con qualche critica, ma anche se ama dirsi, a volte e con chi non lo conosce a fondo, un po' pisano, in realtà conserva in sé, dentro e fuori, le stimmate di chi è cresciuto sul mare e del mare ha preso l'irrequietezza interiore e la ribellione congenita.

Ieri sera, tuttavia, dalla sua performance è trasparita non solamente la voglia di ritrovare il pubblico - numeroso o di nicchia non importa - dopo due anni di forzata clausura dovuta alla pandemia, ma anche un fondo di malinconia in stile, per dirla alla francese, rétro. Si è percepita, netta, dalle parole cantate, ma anche semplicemente pronunciate e fuoriuscite dalla bocca di un uomo che sta per concludere un decennio che apre, poi, all'età della riflessione e dei ricordi.

Per lui le serate del Mecenate rappresentano altrettante boccate di aria fresca che allontanano, almeno per un po', la malinconia e la tristezza derivanti da un tempo che ha tolto tempo e molte altre cose alle persone più sensibili, spontanee e intelligenti e Bobo Rondelli è, indubbiamente, tra queste. Ha cominciato il suo intervento musicale con una edizione... sofferta, ma molto intensa della splendida Heroes, canzone tratta dall'album che David Bowie incise nel 1977. Malinconia sì, ma quanto calore e genuinità riescono a trasmettere la musica, la figura e le canzoni di Rondelli.

La serata aveva un nome, Hawaii da Shangai, Osteria del tempo perso e prendeva il nome da una delle più belle canzoni di Rondelli, testo e musica inseriti nell'album uscito nel 2008 Figlio del nulla, che rimandano ad un quartiere popolare, appunto Shangai, ad una Livorno e ad una umanità difficili da ritrovare in questa civiltà tecnologica senza identità.

Una cucina acustica quella del Mecenate, con Sole che ai fornelli ha preceduto con il suo menu a base di pesce e non solo, l'esibizione dell'artista accompagnato al pianoforte da Rolando Laucci. Per chi, come noi, ha natali labronici e, quindi, gaudenti oltre ogni delimitazione geografica, assaggiare, a volte anche con un bis, le portate adagiate sulla tavola dal personale gentile ed efficiente del ristorante, è stato un piacere palpabile non solo al palato, ma anche agli occhi.

Bagnati da una bottiglia di bollicine Franciacorta, sono passati davanti ai nostri sguardi fugaci, ma decisamente famelici, uno dopo l'altro, l'altro dopo l'uno, le acciughe fritte e le cozze ripiene (queste ultime favolose), la pasta con le triglie, il polpo in galera circondato da una polenta bianca che ha sostituito egregiamente la classica e ben conosciuta polenta Formenton Otto File coltivata in Garfagnana e nella Valle del Serchio. Infine, a chiudere il cerchio, le scodelline livornesi, un piatto tipico ereditato dalla cucina labronica direttamente dalle contaminazioni della cultura ebraica che a Livorno ha sempre avuto una presenza e una influenza determinanti. 

Che dire, quindi, di un appuntamento fortemente voluto da Stefano De Ranieri, ristoratore dall'animo gentile e dalla passione infinita, che in un periodo così intriso di pessimismo e devastazione psicologica e affettiva, ha regalato alla città di Lucca un concerto che non soltanto ha riscaldato gli animi, ma ha anche fatto molto, ma molto bene alle menti. Se un messaggio questa sera ha lasciato e lanciato, è stato quello di non rinunciare mai a vivere e condividere le emozioni. 

Foto Ciprian Gheorghita

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