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Scritto da aldo grandi
Enogastronomia
13 Febbraio 2023

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Una gita a Ferrara? Consigliabilissima, soprattutto, nel week-end e, almeno per quel che ci è parso, in inverno, perché Ferrara senza la nebbia e senza la sua atmosfera avvolgente e fredda non sarebbe più la città che è sempre stata. Da Lucca, poi, è veramente ad un tiro di schioppo, un'ora e mezza di auto, forse qualcosa di più. Non ci eravamo mai stati se non, di sfuggita, al seguito di una trasferta calcistica della Lucchese quando seguivamo le imprese dei rossoneri per conto de La Nazione. Nemmeno il tempo di fare un giro, sempre di corsa, un pranzo fugace e frugale all'Hostaria Savonarola sulla piazza omonima e poi via allo stadio. Sono passati tanti anni e, oggi, della Lucchese ci interessa relativamente, mentre visitare la città degli Estensi e del Giardino dei Finzi Contini di Giorgio Bassani e Vittorio De Sica, parecchio.

Abbiamo scelto un albergo situato, inconsapevolmente, al di qua della città medievale, ma solo di poche centinaia di metri, il Princess Art Hotel, raffinato hotel che si trova a poco meno di un chilometro dal castello estense e dal cuore cittadino. E' una struttura a quattro stelle, accogliente, pulita, con un ampio giardino molto curato all'interno, camere con soffitti a travi e, alcune, con piccolo giardino privato che in inverno, però, serve a poco o niente. Staff gentile, colazione self-service abbondante e buona, omelette a go-go per chi le desidera. Indirizzo, via Mascheraio 39, dieci minuti a piedi anche dalla cattedrale di San Giorgio patrono della città, e a due passi da piazza Ariostea, dal corso Ercole I d'Este e dal palazzo dei Diamanti. Cosa non trascurabile, il parcheggio è gratuito nella stessa strada dove si trova l'albergo e la pace che regna per queste vie è davvero rilassante e sembra rimandare alle atmosfere del film di Florestano Vancini La lunga notte del '43. Chi non lo ha visto, lo veda su Youtube.

In sostanza e dopo una mezza giornata di ambientamento, ci si rende conto che Ferrara la si può girare anche a piedi se si è armati di volontà e resistenza. Da non dimenticare la cinta muraria, più esterna rispetto alla nostra, ma molto, molto più lunga. 

Mangiare a Ferrara è una esperienza indimenticabile sia sotto il profilo turistico sia sotto quello gastronomico anche se, va detto subito, i piatti serviti sono piuttosto consistenti quanto a materie impiegate quindi, per chi volesse stare leggero, al di là dei cappelletti in brodo o di un risotto, non c'è granché. Per chi, invece, ama godere della cucina generosa dell'Emilia anche se Ferrara è l'ultimo avamposto visto che sta ad un passo sia dal Veneto sia dalla Romagna, pancia mia fatti capanna come recita un antico detto popolare.

La sera del venerdì, avevamo, ovviamente, già prenotato e fareste bene a non dimenticarvelo neppure voi, la cena all'Hostaria Savonarola, sotto il loggiato che dà sulla piazza nella quale brilla, si fa per dire, la statua del frate ferrarese Girolamo Savonarola eretta nel 1875 in onore del famoso riformatore nato a Ferrara nel 1452, situata fra il Castello Estense e l'antico Palazzo Ducale. L'osteria omonima è sotto il portico e ha una bella entrata. Si vede, anche da fuori, che è frequentata, in particolare, almeno di questi tempi, dai ferraresi e questo è, indubbiamente, un buon segnale. 

Incuranti del colesterolo e dei grassi presenti negli insaccati, ci tuffiamo sul tagliere di salumi nostrani e la tavolozza di formaggi misti, ovviamente, in forma ridotta. Poi, invece e come avremmo dovuto fare, di scegliere i cappellacci al ragù come fa chi ci sta accanto, optiamo per lo stinco di maiale con le patate al forno. Certo, c'era anche la famosa salama da sugo con purè di patate, ma dicono sia pesante la sera. Mah, certo non ci basta e vogliamo a tutti i costi assaggiare il cosiddetto pasticcio alla ferrarese, una sorta di timballo buono sì, ma nella norma nel senso che non ci fa impazzire, ma mandiamo giù con piacere. A queste latitudini e senza per questo spostarci fino a Mantova, la zucca è di casa e i cappellacci, al ragù o con burro e salvia sono una istituzione. Al tavolo accanto, però, sbarcano anche delle tagliatelle al ragù e dei cappelletti alla panna da far paura, ma, ormai, cosa fatta capo ha. Un buon bicchiere di vino rosso della zona, non il Lambrusco che, peraltro, è di Modena, per annaffiare il tutto. A fine pasto il conto che è onesto, si spende il giusto provare per credere.

Il sabato mattina, dopo una lauta colazione, via a piedi con tanto di cucciolo di labrador al guinzaglio per le vie della città e potevamo non acquistare una robusta dose di cappellacci di zucca? Per il resto c'è anche il trenino per turisti che pensano, così, di vedere tutto in 45 minuti di viaggio, un po' come quelli che, negli anni del dopoguerra e del boom economico, credevano, acquistando una enciclopedia, di mettersi in casa tutto quel sapere e quella cultura che, altrimenti, sarebbe stato impossibile possedere. Noi di quella generazione ci siamo cresciuti sui volumi di Conoscere o dei Quindici: quanto alla Treccani, essa era a disposizione solo delle famiglie più colte ed agiate.

Il mini tour su tante ruote ci serve, però, a capire che Ferrara la si può veramente visitare in un giorno e, in breve, riusciamo a comprendere dove siamo e dove vogliamo andare. Scesi dal treno, fiato alle trombe pardon, alle gambe. Saltiamo il pranzo dopo essere stati alla cerimonia dello Shabbat detta anche del risposo per gli ebrei, all'interno della sinagoga, l'unica delle tre visitabile e usufruibile, in via Mazzini 95 nel cuore del ghetto e nel pieno del centro storico. Ai lati della porta d'ingresso due targhe per commemorare l'eccidio di milioni di ebrei e i nominativi delle vittime delle deportazioni a Ferrara: ci sono tanti Finzi, anche Contini, ma anche tanti Magrini come, pare, si chiamava la famiglia descritta da Bassanio nel suo capolavoro letterario.

La sera abbiamo scelto, per restare anche in tema, l'Osteria del ghetto in via Vittoria, un locale che non è assolutamente kosher, ma dove resistono tracce di un'antica cucina ebraica che aveva, proprio nel ghetto dove si trova il locale, il suo cuore e centro. Se da un lato gli Estensi accolsero gli ebrei, un po' come i Medici a Livorno, lasciandoli abbastanza liberi di prosperare, l'avvento, poi, del papato condusse, addirittura, alla creazione del ghetto nel 1627 con tanto di recinto chiuso da cinque portoni e relative chiavi per aprirli. 

Nella sinagoga di via Mazzini il 21 settembre 1941, in occasione del capodanno ebraico, iniziarono le devastazioni che proseguirono, poi, nel 1943 e nel 1944 e portarono alla distruzione del tribunale rabbinico, di preziosi libri della biblioteca, di arredi e documenti. La particolarità dell'edificio sta nel fatto che è da ben cinque secoli luogo di culto e ha ospitato contemporaneamente e ospita tre sinagoghe di rito diverso: italiano, tedesco e fanese. Attualmente gli ebrei residenti a Ferrara a malapena superano le 70 unità. Le cerimonie vengono tenute dal rabbino Luciano Meir Caro che arriva direttamente, per officiare, da Torino dove risiede.

La titolare dell'Osteria del Ghetto si chiama Laura Molinari ed è una anziana signora che ama conversare con i commensali del suo locale, ex insegnante e seppure non ebrea, molto partecipe delle loro vicende e della loro storia. Il locale accoglie i tavoli al primo piano dove ci sono due ampie sale. Sediamo nella prima, la più piccola e ci mettiamo ad un tavolo d'angolo visto che il labrador di cui sopra ha bisogno di spazio per sdraiarsi. Un'occhiata al menu è sufficiente per farci optare per un piatto che ci intriga a queste latitudini:; le alici scottadito. E non ci saremmo sbagliati. Dopo, come primo, un risotto rape rosse con fonduta di parmigiano. Piatti semplici, ma assolutamente buoni. Atmosfera che rimanda alle tradizionali osterie, ma il servizio è ottimo e il conto, alla fine, pure. Se volete provare un piatto ebraico, provate la faraona con pere, cannella e zafferano. Niente male anche le tagliatelle prosciutto e piselli. Prezzi, come già accennato, nella norma, di sicuro mangiare a Ferrara almeno dove siamo stati noi non contribuisce a svenarsi.

Subito dopo cena una passeggiata lungo le vie centro medievale e e, assolutamente da non perdere, percorrere la via delle Volte che Giorgio Bassani nel suo romanzo di Ferrara e, in particolare, nel Giardino dei Finzi Contini, così rievoca e descrive: «Priva di marciapiedi, il ciottolato pieno di buche, la strada appariva anche più buia del solito. Mentre avanzavamo quasi a tentoni, e con l'unico aiuto, per dirigerci, della luce che usciva dai portoncini socchiusi dei bordelli, Malnate aveva attaccato come d'abitudine qualche strofa del Porta». Percorretela fino in fondo, in su e in giù, resterete abbagliati, la sera e vi sembrerà di tornare indietro nei secoli.

Malnate, nella trasposizione cinematografica di Vittorio De Sica, è lo studente amico del protagonista interpretato da un giovanissimo Fabio Testi e che morirà durante la campagna di Russia.

A Ferrara o, almeno, all'hotel Princess Art si dorme indubbiamente bene. Il silenzio è sovrano.

La domenica la dedichiamo alla visita del parco Massari e del corso Ercole I d'Este proprio dove è stata girata la scena iniziale del film che vinse l'Oscar per il miglior film straniero nel 1972 oltre che la migliore sceneggiatura non originale.

A pranzo, prima di lasciare Ferrara, vogliamo provare l'osteria più antica del mondo, quella che sta a uno sputo dalla cattedrale di San Giorgio e a pochi passi da tutte le vie che abbiamo percorso in questi due giorni. Al Brindisi, enoteca-osteria, si trova in uno stretto vicolo e si porta sulle spalle una storia di quasi seicento anni che le è valsa una citazione nel Guinness dei Primati. L'osteria esisteva già nel 1435, quando si chiamava "Hostaria del Chiuchiolino" (da "ciuc", ubriaco). Ai suoi tavoli si sono seduti personaggi come Benvenuto Cellini, Torquato Tasso, Ludovico Ariosto, Tiziano Vecellio, Nicolò Copernico. Il locale appartiene ora alla famiglia Pellegrini e Moreno, colui che la prese in gestione tanti anni fa, è originario di Altopascio. Attenzione, però, non si accettano prenotazioni quindi, chi prima arriva, prima alloggia. 

Il nostro è un pranzo leggero dovendo, poi, rimetterci alla guida e rientrare a Lucca. Questa volta vogliamo provare le lasagne integrali e, onestamente, non ce ne pentiamo così come i cappellacci burro e salvia, forse un po' duri, sono buoni. L'ambiente è caratteristico, una sorta di museo con poco più di venti coperti, un'atmosfera di altri secoli e molto calore anche se, indubbiamente, a noi sembra più adatta come enoteca dove si mangia bene che non come ristorante vero e proprio. Assolutamente da provare, se non altro perché non capita tutti i giorni di varcare la soglie di un locale così antico. Gentile il titolare, appunto Federico Pellegrini, discendente della famiglia, il quale ci aveva, a metà mattina, accolto dicendo che non poteva prenotare un tavolo e che, a mezzogiorno e mezzo, quando ci ha rivisti, ci ha detto che era pieno salvo, poi, liberarsi un tavolo prima che ce ne andassimo. I due cuochi, simpatici, cucinano dietro il bancone, la toilette - lo diciamo per chi non è abituato - è alla turca, non proprio il massimo della comodità, ma così deve aver fatto anche l'Ariosto. 

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