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Un necrologio di emozioni per salutare la scomparsa di José “Pepe” Mujica, ex presidente dell'Uruguay
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo breve testo inviatoci da un lettore che non ha saputo trattenere le lacrime alla notizia della morte dell'ex presidente guerrigliero dell'Uruguay

Lucca per nomadi digitali: dove lavorare e cosa visitare
Lucca è una delle città italiane più affascinanti, conosciuta per le sue mura rinascimentali ben conservate e il suo centro storico ricco di storia. Negli ultimi anni, sta diventando sempre…

Come preparare una lunch box bilanciata per l'ufficio
Organizzare una lunch box bilanciata da portare in ufficio è una pratica sempre più diffusa tra chi desidera prendersi cura della propria alimentazione anche durante la giornata lavorativa. Nonostante i ritmi frenetici, è possibile comporre pasti equilibrati, nutrienti e appaganti, utili a sostenere la concentrazione e la produttività fino a fine giornata

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Fu vera gloria? Ai posteri l'ardua sentenza (Alessandro Manzoni. Il cinque maggio)
Napoleone fu sconfitto il 18 giugno 1815 nella battaglia di Waterloo dalle truppe prussiane, olandesi e britanniche, comandate da Sir Arthur…

I genitori del settore giovanile Under 14 della Lucchese 1905 ringraziano lo staff e sperano nel futuro
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento dei genitori dei ragazzi impegnati nella squadra rossonera Under 14. Un intervento che dimostra quale sia stato il livello di difficoltà affrontato per le note vicende societarie e non soltanto

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Giugno era il mese in cui si affilavano le falci per il taglio del grano. Era questa una operazione che impegnava la famiglia contadina, a volte per settimane, secondo l’ampiezza dei campi propri od altrui. Più spesso erano di altri quei campi sterminati, biondi come l’oro, cosparsi di papaveri rossi, che di notte si accendevano di milioni di lucciole.
«Il venti di maggio tutto spigato, il venti di giugno tutto granito», dicevano i nostri contadini e ciò si poteva avverare soltanto se la stagione fosse stata propizia e se si fossero seguiti con scrupolo gli insegnamenti dei vecchi che provenivano da esperienze maturate nei secoli.
La semina, ad esempio, da noi si effettuava abitualmente di novembre, ma mai nei giorni di martedì e venerdì perché «né di venere né di marte non si semina, non si parte, non si dà principio all’arte».
Per un raccolto abbondante si dovevano gettare i semi a luna calante perché «chi semina a luna crescente perde il raccolto e la semente».
La neve d’inverno era una mano benedetta per un buon raccolto perché «sotto la neve ci sta il pane, sotto l’acqua ci sta la fame». L’ultimo controllo si faceva ad aprile, con l’augurio che il cinque, per San Vincenzo Ferreri, fosse una bella giornata: «San Vincenzo chiaro, assai grano; se è scuro, pane niuno».
Si aspettava quindi che il grano giungesse allo stato di maturità e non di secchezza ed a quel punto si poteva dar inizio alla operazione del taglio. Era un lavoro massacrante. Contadini, uomini e donne iniziavano a lavorare alle prime luci dell’alba, ad evitare le ore più calde e chini fra papaveri e spighe continuavano fino alle 11del mattino, con una interruzione per consumare la merenda a base di frittate, insalata, formaggio, cipolle e frutta. Riprendevano il lavoro verso le cinque del pomeriggio e tiravano avanti fino all’ora di cena. Così, per giorni e giorni.
Le spighe tagliate a fior di terra, venivano legate in manne e poi lasciate sul campo, esposte al calore del sole, finché non fossero completamente secche, pronte per la battitura. Operazione questa, dalla quale si otteneva il distacco dei granelli dalla spiga; poi i semi venivano ventilati per liberarli dalle scorie, e finalmente riposti nei sacchi per la molitura. Quella polvere bianca che ne derivava, la farina, era un qualcosa di sacro, tanto è vero che prima di impastarla per farne pane, la massaia si faceva sempre un segno di croce.
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I Francesi non avevano torto. Io ero loro concittadino per caso. Se non ero però francese d’origine, lo ero nei sentimenti.
Napoleone, Memoriale di Sant’Elena
Desidero riprendere il nostro periodico appuntamento dei resoconti napoleonici con alcune osservazioni derivate dal mio recente soggiorno in Corsica, culla di Napoleon Le Grand.
Il contatto diretto con i territori dell’isola natale di Napoleone mi ha fatto riflettere su diversi aspetti della personalità di Bonaparte, sul suo vissuto più intimo e privato, legato all’isola natìa. Durante la fila, in attesa di visitare la casa di Napoleone nel borgo antico ad Ajaccio, oggi Musèe National de la Maison Bonaparte, ero immersa con la mente nell’immagine del fonte battesimale della Cattedrale di Ajaccio, dedicata a Santa Maria Assunta. Proprio lì, il mio pensiero è volato a immaginarlo bambino, dove il 21 luglio del 1771 è stato battezzato il piccolo Napoleone.
Chissà, pensavo, per quale motivo la grandezza del personaggio riesce così bene ad annullare la sua infanzia proiettandolo nell’immaginario collettivo già sui campi di battaglia o nell’atto di incoronarsi Imperatore alla presenza del Papa Pio VII, Gregorio Chiaramonti, o nel giorno della drammatica sconfitta nel campo di fango di Waterloo.
Napoleone nato ad Ajaccio il 15 agosto del 1769 lascia per la prima volta la Corsica il 1gennaio del 1779 per studiare al collegio di Autun e il 12 maggio dello stesso anno per spostarsi alla scuola militare reale di Brienne. Dopo Brienne completerà i suoi studi alla Scuola Militare a Parigi (1784 –1785)
Chi era Bonaparte bambino? Era un sognatore, riflessivo, solitario. Una delle sue prime qualità era la resistenza poiché fu costretto ad imparare velocemente a causa degli eventi avversi. Non doveva essere facile vivere in esilio per un bambino di soli 10 anni. Appena arrivato al collegio ha dovuto confrontarsi e difendersi in un paese straniero dalle ostilità dei suoi compagni di classe francesi e tutti appartenenti alla nobiltà. Nessuno ricorda di averlo mai visto sorridere. Scriverà una lettera al padre, in un momento di grande sconforto «Sono stanco di mostrare la mia povertà, di subire lo scherno dei fanciulli stranieri che mi sono superiori soltanto per il denaro mentre per nobiltà di sentimenti non ve n’è uno che non mi sia di gran lunga inferiore». Ma la famiglia risponde: «Non abbiamo denaro bisogna che tu rimanga.
…non ho altro rifugio che il mio lavoro […]». Chiuso nella sua cameretta, studiava le carte e disegnava le più lontane regioni del globo, nei suoi appunti finali riporta «Sant’Elena. Piccola isola dell’Oceano Atlantico. Colonia inglese». Che segno del destino! Napoleone bambino, sensibile ed idealista, sognerà sulle pagine di del suo autore preferito, Plutarco, la sua passione.
Con la Corsica sempre nella sua mente e completamente dedito allo studio cerca sé stesso, il suo vero io. A soli 17 anni scriverà i giovanili saggi sulla sua isola natale e avrà come prima lettrice d’eccezione la madre Letizia Ramolino.
Questa terra definita aspra e ribelle, io aggiungerei magnetica, con un paesaggio selvaggio, incontaminato, di rara e straordinaria bellezza, il cui protagonista è il mare che sarà al centro anche dei pensieri di Napoleone, in quanto rappresenta una sorta del suo singolare destino segnato dalle onde e dalle isole. La Corsica, l’Elba e Sant’Elena.
Lui stesso dirà nelle sue memorie a Sant’Elena «Che pensieri mi ha lasciato la Corsica! Io godo ancora del ricordo delle sue belle località, delle sue montagne, sento perfino l’odore della mia isola. Avrei migliorato le sorti della mia bella Corsica ... ma i rovesci sono venuti e non ho potuto realizzare i progetti vagheggiati nella mia mente».
Dopo la sconfitta definitiva nella battaglia di Ponte Nuovo, combattuta contro i francesi l’8 maggio 1769, al leggendario Pasquale Paoli aspettava l’esilio in Inghilterra e la Corsica venne proclamata possedimento francese con il trattato di Versailles.
Sarà Napoleone stesso che attraverso i suoi ricordi e osservazioni nel memoriale a Sant’Elena racconterà che: «I Francesi consideravano la Corsica come una colonia, come una nuova conquista; la riguardavano come un’isola italiana, come una provincia genovese. I Francesi non avevano torto. Io ero loro concittadino per caso. Se non ero però francese d’origine, lo ero nei sentimenti. Avevo ricevuto la mia educazione in Francia, avevo servito in Francia, l’amore dei Francesi mi aveva innalzato. La mia politica non voleva che io facessi grande mostra della mia origine corsa; era necessario che io reprimessi quell’istinto di soccorso e di solidarietà che noi isolani sentiamo cosi forte. I miei nemici, gli invidiosi mi spiavano, tutto quello che facevo peri Corsi era segnalato come un previlegio, come un torto fatto ai francesi. Questa politica consigliata dalla necessita mi aveva alienato l’animo dei miei concittadini, e li aveva resi freddi verso di me…. non potevo fare altrimenti».
Dopo 20 anni di esilio il leggendario ribelle Pasquale Paoli, e il giovane Napoleone, cavalcano uno vicino all’altro. Gli espone i suoi progetti per liberare la Corsica dalla Francia. Paoli si rivolge a Bonaparte esclamando «non hai nulla di moderno in te, Napoleone, tu vieni dall’età di Plutarco».
Per la prima volta il giovane tenentino si sente capito.
I grandi uomini ricchi di virtù e grandezza d’animo, capaci di compiere grandi imprese sono gli eroi di Plutarco come Alessandro Magno e Giulio Cesare ai quali Bonaparte si era sempre ispirato fin da bambino divorando i libri.
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