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Un necrologio di emozioni per salutare la scomparsa di José “Pepe” Mujica, ex presidente dell'Uruguay
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Lei fa di professione l’antiquario. Come si diventa antiquari e, soprattutto, come ci è arrivata lei?
Il mio ingresso in quel mondo magico che si chiama arte è avvenuto in tenerissima età, ricordo che mia madre dovette faticare non poco per convincere la maestra che i fantasiosi lavoretti artistici che portavo, già alle elementari, erano solo frutto della mia fantasia senza alcun aiuto dei familiari. Questa passione innata mi portò a mettere insieme, già all’età di tredici anni, la mia prima collezione di tazzine di porcellana da caffè, ancora custodite con cura. Ricordo, pure, quando avevo diciassette anni, l’insistenza con la quale convinsi mio padre a finanziare l’acquisto del mio primo arredo importante, una consolle dorata Luigi XVI, che naturalmente conservo tuttora gelosamente. In seguito, la passione per la storia dell’arte portò altri interessi e predilezioni, lo Stile Impero e il mondo napoleonico soprattutto. E cosi avvertii presto il desiderio di tradurre quegli interessi e quelle competenze maturate nel corso degli studi in una vera professione, quella dell’antiquario, specializzandomi con dedizione inestinguibile e immutabile nel binomio Impero-Napoleone.
Antiquari si nasce o si diventa? Ossia, si deve avere alle spalle qualcuno che ti aiuta o si può arrivare anche da soli.
Io sono nata collezionista. Devo ovviamente ringraziare mio padre che ha sempre sostenuto economicamente questa mia passione di collezionista di oggetti d’arte.
Ci risulta che lei sia in possesso di una meravigliosa e unica collezione di bambole d’epoca. Di cosa si tratta?
Come accade a molte bambine, la mia passione per le bambole è nata in tenerissima età. Fin qui niente di strano. La cosa singolare consisteva nel fatto che il mio interesse era rivolto alle bambole dei tempi passati. Attualmente la mia collezione spazia dai presepiali del Seicento alle Barbie degli anni Cinquanta. Sarei insincera se celassi la soddisfazione dall’avere visto la mia collezione esposta nei più prestigiosi musei nazionali. Attualmente è esposta presso il museo Archeologico di Napoli.
Lei è appassionata di Stile Impero: ci può spiegare il significato di queste parole?
Lo Stile Impero è una corrente artistica legata indissolubilmente alla figura di Napoleone. Gli arredi di questo periodo sono caratterizzati dal gusto per le linee rette, in cui il nobile mogano era il legno più usato e il colore scuro risaltava i bronzi cesellati e dorati con un risultato sontuoso. Lo Stile Impero è un’evoluzione del Neoclassicismo che abbandona le settecentesche leziosità del Luigi XVI. Le colombe o mazzetti di fiori lasceranno il posto a sfingi egiziane, aquile, vittorie alate e colonne per ricordare anche negli arredi la componente militaresca delle campagne napoleoniche. Dopo la campagna di Napoleone in Egitto (1798-1799) nascerà lo stile denominato “retour D’Egypte”, in cui sfingi, obelischi, geroglifici saranno protagonisti e ne adorneranno gli arredi di fine Settecento. Lo Stile Impero doveva concorrere alla grandezza dell’Impero, ma con canoni di eleganza, rigore e buon gusto. Napoleone ebbe con l’arte un rapporto intimo e profondo imprimendo a ogni espressione artistica - dalla letteratura alla musica, dalla pittura alla scultura all’architettura - una propria ispirazione finalizzata alla creazione del mito dell’imperatore e della sua famiglia.
Oggi lei è una delle collezioniste più importanti a livello europeo e una delle più profonde conoscitrici della figura di Napoleone e dell’epoca napoleonica. Eppure sono i cattedratici che dettano legge. Loro, però, non hanno fatto pratica sul campo come lei.
Le posso assicurare che i veri studiosi non dettano legge, ma riescono a collaborare in modo proficuo con i soggetti avvicinati al loro campo d’indagine con competenze più pratiche. Inoltre, sono ottimi collaboratori e sanno confrontarsi nel loro campo di attività anche con chi gli si è avvicinato su un piano più pratico.
Se dovesse spiegare Napoleone ai giovani d’oggi in poche righe, come lo descriverebbe?
Ai giovani mi fa piacere ricordare che, se oggi si sentono liberi di viaggiare, imparare senza difficoltà nuove lingue, studiare in università europee da loro liberamente scelte, vivere in una società moderna ed egualitaria, è grazie al primo seme gettato da Napoleone che già ai primi dell’Ottocento aveva capito l’importanza di una Europa unita: «l’Europa ha bisogno di una sola legge, di una sola moneta di un sistema di misura eguali… voglio fare di tutti i suoi popoli un popolo solo». Napoleone ha combattuto sui campi di battaglia per far prevalere le idee della rivoluzione e contro le monarchie d’Europa che non intendevano rinunciare ai previlegi dinastici. Ci ha consegnato una società moderna, grazie anche al suo codice, pagando il prezzo dell’esilio a Sant’Elena.
È vero che ha contribuito ad arredare, anche con i suoi pezzi d’epoca, la villa che fu dell’imperatore all’isola d’Elba.
Si, ho contribuito al progetto “Napoleone all’Elba” mettendo a disposizione le mie competenze, partecipando con le mie collezioni alla realizzazione di importanti mostre ai musei Elbani. A questo proposito, ricordo che un’ampia selezione di arredi provenienti dalla mia galleria è stata esposta in diverse mostre tematiche sullo stile Impero, per le quali ho prestato la mia collaborazione.
Lei è molto invidiata da chi vorrebbe avere la collezione che ha lei. È disposta a venderla?
Vendere una collezione raramente è un desiderio di chi quella collezione con passione, competenza, impegno e approfondimento l’ha realizzata. Non ho mai collezionato per investimento, ogni pezzo d’arte da me selezionato doveva gratificare il mio senso estetico. Sono da sempre stata affascinata dalla bellezza e molto selettiva nel selezionare oggetti per la loro rarità, qualità artistica, e il tempo passato.
Se avesse vissuto ai tempi di Napoleone chi avrebbe voluto essere?
Certamente la principessa Maria Paola Bonaparte Borghese, chiamata Paolina, il personaggio che più mi rappresenta per spontaneità, sentimento e lealtà. La determinazione nel volere essere arbitra in prima persona della propria vita che tanto l’ha sottoposta alle critiche dei suoi contemporanei, oggi, al contrario è considerata segno di uno spirito libero e intelligente, che vuol guidare da sola la propria esistenza. Paolina Bonaparte, la sorella prediletta di Napoleone, ha, dunque, tutta la mia ammirazione e può essere definita il prototipo della donna moderna, capace di sovrintendere da sola anche alla realizzazione della sua nuova dimora viareggina, già nel 1822, fatto unico per quell’epoca.
L’affare più importante che le è capitato di fare durante la sua attività di antiquario.
Desidero chiarire che la parola “affare” non ha mai fatto parte dei miei pensieri, la linea guida del mio lavoro è sempre stata la passione per la ricerca incessante della bellezza, del bel manufatto artistico, dove l’armonia della forma ed epoca si innestano in un risultato sublime di rarità ed eleganza, tale da sprigionare benessere, un’oasi di pace e di piacere intellettuale.
Lei ha ritrovato un indumento che era appartenuto a Elisa Bonaparte sorella di Napoleone. Ci racconta questa storia per favore?
Durante i lunghi anni di attività in continuo contatto con l’arte napoleonica mi sono, spesso, trovata in presenza di preziosissimi manufatti di particolare pregio e rarità artistica, ma l’occasione straordinaria si è verificata quando mi sono imbattuta in quelli che, sin dai primi istanti, riconobbi come due ricami francesi stilisticamente affini al periodo napoleonico. L’emozione maggiore fu quando visitando la sezione tessile del Museo Nazionale di Palazzo Mansi, ammirai esposto il manto di corte da sempre mancante, però, del suo abito. Immediatamente, grazie alle innumerevoli esperienze maturate in tanti anni mi resi conto che fra quel manufatto e i miei due ricami vi era una diretta relazione. Le assonanze erano inequivocabili e per me fu veramente un’esperienza straordinaria, oltre che una grande emozione, il momento in cui mi resi conto che, non solo avevo scoperto e recuperato un preziosismo manufatto della corte napoleonica, ma avevo trovato gli abiti che due secoli prima avevano accompagnato quel manto. Il dato storico ci permette di ascrivere l’appartenenza dell’abito ad Elisa Baciocchi, l’unica ad avere avuto un attivo ruolo di governo a Lucca, insignita dal fratello imperatore Altezza Reale all’interno di una corte strutturata sul modello di quella parigina, in quanto Principessa di Lucca e Piombino e Granduchessa di Toscana dal 1805 al 1814. Questo ritrovamento é stato per me molto emozionante per la ricerca e il suo esito fortunato. Si fortunato, ma non perché dovuto ad una mera casualità ma come frutto dei miei lunghi studi ed esperienza nell’affascinante mondo napoleonico. Avere scoperto dopo due secoli gli abiti mancanti al manto e poterli riunire in una unica teca nella fastosa sala dei Principi nel Museo Nazionale di Palazzo Mansi a Lucca ha dato modo alla citta di Lucca, una delle capitali napoleoniche d’Europa, di esibire uno straordinario nucleo documentario della corte napoleonica, unico esempio nel panorama internazionale di un Manto in tulle di seta con ricami in lamine di argento con i relativi abiti che rispecchia il fasto e l’eleganza di quel periodo.
C’è ancora qualcosa che avrebbe desiderato avere e non è mai riuscita a trovare o a comprare durante la sua attività di collezionista di cose napoleoniche?
I desideri di un collezionista non si placano mai ed è un fatto noto quanto la bulimia del collezionista sia destinata a restare sempre insoddisfatta. Completata la ricerca e l’acquisto di un bene che va ad aggiungersi alla collezione si dà inizio, immediato, a una nuova ricerca finalizzata a incrementare e valorizzare la collezione.
Sia sincera: ma a Lucca lo sanno di avere in città la più famosa collezionista napoleonica in circolazione quantomeno in Italia?
Non mi sono mai posta la domanda. Da tanti anni svolgo una professione per me bellissima che mi permette di frequentare persone con me in sintonia culturale e umana, dove interessi e l’amore per l’arte mi restituiscono armonia e benessere e questo è quanto di meglio io possa desiderare.
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa lettera inviataci da una nostra lettrice a proposito del problema dell'inclusione e della disabilità durante i mesi estivi:
Nonostante si senta parlare tanto di inclusione – come dice un proverbio: "le parole le porta via il vento" e all'atto pratico - devo dire- che non si trovano molti riscontri anzi tutt'altro. Mi chiamo Giada Alessandri e sono la mamma di un bambino di 14 anni che ha una diagnosi di autismo con alto funzionamento e, durante il periodo estivo, ho notato che - anche per mia diretta esperienza – l'inclusività, questa tematica sociale così importante, rimane solo una parola vuota e sono i fatti purtroppo a testimoniare questo e a darmi ragione. Mi spiego meglio.
Nella fascia d'età dai 6 ai 14 anni viene data la possibilità ai bambini e ai ragazzi di poter usufruire solo di 100 ore di scuola estiva con operatori specializzati, che, in termini pratici con una frequenza di cinque ore giornaliere sono 20 giorni di frequenza a fronte dei tre mesi di scuole chiuse, oppure viene dato un contributo di mille euro alle famiglie per pagare un operatore specializzato che comunque sono sempre circa 50 ore (e coprono quindi solo 10 giorni circa).
Mettetevi nei panni di famiglie come la mia e come quella di molti altri con due genitori che lavorano e che vorrebbero, anche per una naturale crescita e arricchimento del figlio, che potesse frequentare ugualmente i ragazzini della sua età in progetti realmente inclusivi.
Finora ho "parlato" di situazioni che riguardavano solo bambini dai 6 ai 14 anni ma dopo è anche peggio. Infatti dai 14 anni in poi si fanno progetti definiti "ad hoc" solo per i ragazzi con disabilità, progetti che di inclusivo non hanno niente e - secondo il mio parere – servono solo a creare un ulteriore divario tra i ragazzi considerati normodotati e quelli con disabilità.
Sempre con la scusa che la scuola è obbligatoria mentre in estate no, ma che senso ha? La disabilità non va in ferie (magari), non ci sono interruttori delle persone in base alle stagioni.
Allora che dovrebbero fare gli studenti disabili durante il periodo estivo?
I genitori dovrebbero perdere il lavoro?
I ragazzi con disabilità dovrebbero stare rinchiusi in casa? Tutto ciò porterebbe inoltre a una regressione dei progressi fatti durante l'anno scolastico dagli studenti.
In più, i bandi d'interesse per le attività estive si aprono sempre a tempo ristretto e per associazioni o cooperative sociali che si occupano di disabilità quando in realtà potrebbero participare alla manifestazione d'interesse tutte le associazioni che organizzano attività estive ma non lo fanno. Come mai?
È un argomento spinoso e nessuno ne vuole parlare, ma da mamma sono stanca di tutto ciò, sono anni infatti che questa problematica si procrastina nella nostra Piana e non trova soluzione.
Si parla di percorsi individualizzati ma ho notato che in realtà i percorsi risultano tutti uguali, sono progetti "fotocopia" per tutti, cambia solo il nome e il cognome del ragazzo/a.
Le famiglie devono rincorrere gli enti sempre a ridosso del fine scuola, per avere le informazioni che non sono mai trasparenti e definite.
Spesso poi i luoghi dove trovano posto i ragazzi sono difficilmente conciliabili con la vita delle famiglie; il fatto di non poter scegliere a quale scuola portarli diventa un'ulteriore discriminazione.
In più, mi chiedo: "I comuni dell'intera Piana lucchese si sono adeguati all'erogazione del contributo (in base all'isee) che viene dato alle famiglie con disabilità?" Perchè questo non è chiaro. Se qualcuno me lo spiega, sarei felice di capirlo.
Tante famiglie, se non tutte, sono sole ad affrontare tutto questo.
A ridosso della campagna elettorale di Lucca mi domando se i candidati sindaco tutte queste problematiche le sanno.
Vogliono darci mano finalmente? Vorrei delle risposte. Se mi contattano ben lieta di spiegare tutto questo. Lascio qui il mio numero di cellulare: 331 7558091