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Giovani generazioni senza attributi: come faranno a combattere il fanatismo dei talebani del futuro?
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Caro direttore,
seguo con ansia la baraonda afghana, non tanto per me che sono vecchio e non ho lunghi orizzonti prima di rendere l’anima a Dio, ma per figli e nipoti che abbiamo fatto vivere in un Nirvana di pace e benessere, con ogni diritto concesso e ogni desiderio appagato, il tutto a gratis: nessun impegno per meritarlo, nessun sacrificio per ottenerlo. Gli abbiamo tagliato gli attributi e ora gli lasciamo in eredità un mondo nel quale chi ha pochi attributi soccombe, figuriamoci chi non ne ha!
Ieri la nuova ISIS ha parlato con l’unica lingua che conosce: la morte dispensata a caso. Il mezzo consueto: i kamikaze che si immolano per la gloria di Allah.
Le vittime sono equamente distribuite: soldati USA, miliziani talebani, soprattutto inermi e incolpevoli civili. Biden difende le sue strategie, peraltro incomprensibili: combatteremo, puniremo, ma nel frattempo lasciamo in fretta e furia l’Afghanistan.
L’Afghanistan dei nostri giorni mi ricorda per un verso gli ultimi giorni del Vietnam, per altro verso il Muro di Berlino: ora la gente vuole scappare dal paradiso islamico come allora voleva scappare dal paradiso comunista.
Ma mi ricorda anche l’inglorioso 8 settembre ‘43 italiano: tutti a casa. Lo scioglimento dell’esercito italiano fu in tutto simile a quello odierno dell’esercito afghano. Ne nacque la guerra civile le cui conseguenze si fanno tuttora sentire pur a quasi ottanta anni di distanza.
Rammento a me e a chiunque ne abbia interesse due numeri afghani:
vita media anni 45. Pil pro capite 600$/anno. In Afghanistan si vive poco e male. Da sempre in balia di centinaia di clan che si combattono fra di loro.
I Talebani sono quasi tutti afghani anche se non tutti gli afghani sono talebani: a guardare i fatti pare però che la (stragrande) maggioranza afghana non si oppone al loro sistema.
I Talebani presero il potere in Afghanistan nel 1996 e lo tennero fino al 2001 macchiandosi di ogni misfatto: perfino l’ONU li ha classificati fra le organizzazioni terroristiche.
La guerra anti talebana fu iniziata nel 2001 da Bush padre per catturare Osama Bin Laden e i terroristi islamici che trovavano nel regime talebano rifugio e aiuti. In 10 mesi i talebani furono sconfitti ma sopravvissero nelle zone più impervie di un Paese impervio e nel vicino Pakistan affrontando condizioni di vita impervie, a proposito di attributi. Si mantennero invadendo di oppio e derivati il mondo intero e con l’aiuto dei correligionari sunniti: Arabia Saudita, EAU, e Pakistan (unici Stati che riconobbero il loro governo). I successori di Bush, compreso l’icona pacifista Obama, continuarono la guerra anche dopo l’esecuzione dell’odioso Bin Laden, fino ai giorni nostri nei quali, prima Trump patteggiò con i Talebani il ritiro delle truppe occidentali (riconoscendoli come interlocutori validi e affidabili!) e infine oggi con Biden che ha pronunciato appunto il “tutti a casa” di colpo e senza condizioni. l’U.E.? Non pervenuta.
L’auto flagellazione degli occidentali è motivata da queste ultime decisioni, ma gli afghani hanno avuto 20 anni per adottare almeno parte del modello offerto dagli occidentali con un impegno militare costato la vita a oltre 3590 soldati e 3800 “contractor”, cioè “soldati di ventura” moderni addestrati alla ”arte della guerra”, ma anche con imponenti aiuti economici e tentativi di proposte “culturali” antitetiche a quelle talebane.
Tutto inutile, gli esiti sono addirittura beffardi: gli armamenti occidentali sono ora in mano ai Talebani, le minoranze che avevano raccolto pur timidamente le proposte occidentali sono alla mercé di questi delinquenti, la nostra credibilità internazionale è scesa sotto lo zero a vantaggio di Cina, Turchia, perfino Iran! A parziale rappresentanza dei “valori occidentali” è rimasta la Russia! Corriamo il concreto pericolo che in mezzo alla povera gente che scappa dall’inferno afghano si mischino fanatici islamici (non islamisti, come prova a distinguere la narrazione della sinistra e di Papa Francesco) che a comando spalmeranno di morte e di terrore le nostre vite.
Sarebbe l’ultima trincea per le democrazie liberal o socialdemocratiche dell’occidente: la capacità di difendere almeno se stesse, dimenticando le manfrine interne, le preoccupazioni degli esiti elettorali di domani o di dopodomani. Con solenni promesse e proclami usati come uniche pallottole contro un nemico che usa pallottole vere e mortali.
Con grande cinismo politico gli attentati di ieri possono essere considerati una variabile di sistema perché mettono in discussione la capacità di governo dei Talebani. A nord del Paese il figlio del comandante Massud (avvelenato dal Al Qaeda, col probabile consenso dei Talebani) cerca di predisporre una esile linea di resistenza: vedremo se USA e alleati lo aiuteranno.
Nell’intero Paese le mortifere cellule ISIS sono una minaccia costante anche per i Talebani: quando si spara nel mucchio le identità della vittime sono del tutto trascurabili. I talebani non hanno quel futuro facile che immaginavano. Scenderanno a più miti consigli? Vedremo una alleanza di comodo fra Occidente e Talebani? Quali condizioni l’imbelle e irenista Occidente vorrà imporre ai Talebani?
- Scritto da Redazione
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L’avvento sulla scena europea dell’astro di Napoleone Bonaparte segnò, senza ombra di dubbio, il declino definitivo dell’Ancien Régime. Importanti innovazioni furono introdotte in ambito politico, economico, sociale, culturale e non da ultimo artistico sino alla creazione, nella generale spinta del Neoclassicismo, di un vero e proprio Stile Impero che fu talmente innovativo da investire non solo le arti maggiori, si pensi alla grande pittura celebrativa di Jaques Louis David e Jean Auguste Dominique Ingres, ma anche le arti minori e le manifatture: gli arredamenti, le porcellane, le incisioni, i gioielli e non ultimi i tessuti ed i ricami ebbero dalla lungimirante politica culturale napoleonica nuova linfa.
Napoleone fu ben consapevole dell’importanza dell’Arte per consolidare sulla scena internazionale la sua figura ed il suo regno, la creazione del mito napoleonico si connotò pertanto come un vero e proprio programma politico guidato sin nei minimi particolari dallo stesso sovrano che si contornò di una eterogenea équipe di studiosi tra cui figura di spicco indiscutibile fu Dominique Vivant de Denon, direttore del Musée Napoléon.
Lo Stile Impero richiamava la grandezza e soprattutto la stabilità della gloriosa tradizione imperiale augustea, alleggerendola con una raffinatissima eleganza, e con precise regole di stile rispecchiava la struttura della nuova società nata dalle macerie della Francia rivoluzionaria.
La nascita dell’Impero, culminata con la solenne cerimonia dell’incoronazione del 2 dicembre 1804, mirabilmente immortalatala da David nella tela conservata al Museo del Louvre, segnò l’inizio di una nuova fase della politica napoleonica.
Al pari delle altre monarchie europee Napoleone ricostituì̀ anche in Francia una corte rigidamente strutturata per la cui conoscenza e comprensione strumento preziosissimo è il Cérémonial de L’Empire français, una raccolta organica dei senatoconsulti e dei decreti imperiali, stampata a Parigi nel 1805, con cui il sovrano progressivamente organizzò la struttura e definì̀ le norme del nuovo assetto di governo. Una parte di quest’opera è dedicata al costume dell’imperatore, dell’imperatrice, delle principesse e delle rispettive dame descrivendo sin nei minimi particolari gli indumenti e le insegne di spettanza secondo il loro rango.
In merito alla moda della corte fu proprio sotto l’impero napoleonico che venne reintrodotto l’uso dell’abito di corte o grand habit, si tratta di abiti realizzati in pregiatissimi tessuti e ricami in fili d’oro o d’argento con temi di forte valenza simbolica composti da una veste arricchita dal proprio manto. Fu lo stesso Napoleone a stabilire che per la confezione di questi manufatti fossero utilizzati esclusivamente tessuti francesi cosicché́ ne traessero beneficio economico le industrie tessili nazionali che ebbero così notevole sviluppo e rilancio.
La moda di corte venne connotandosi sempre più̀ come elemento fondamentale per il consolidarsi del nuovo Impero: se il pizzo era stato il lusso della vecchia aristocrazia prerivoluzionaria il ricamo era il simbolo della nuova classe di governo.
Napoleone introdusse nello splendido linguaggio floreale dei ricamatori le api imperiali e palmette neoclassiche, simboli di operosità̀ e rinascita.
Degli abiti di corte poche testimonianze sono giunte sino a noi, realizzati con materiali delicatissimi come il tulle di seta ed impreziositi da ricami in lamine, in oro ed argento, il tempo ne ha provocato la scomparsa o l’irrimediabile deterioramento. Alcuni esemplari superstiti si conservano presso il Musée national des châteaux de Malmaison & Bois-Préau.
Due esemplari di abito di corte, di cui uno con il proprio manto, sono inoltre conservati nel Museo Nazionale di Palazzo Mansi di Lucca. Esposti al pubblico nel 2018, dopo un lungo lavoro di studio che ho voluto portare avanti in prima persona, erano stati erroneamente interpretati fino ad allora come ricami di scuola francese e non parte integrante del sontuoso manto che oggi completa la mise. Si tratta in realtà di due abiti espressione del più alto livello artistico delle manifatture tessili francesi e proprio per tale caratteristica, oltre che per elementi stilistici, ascrivibili ad Elisa Bonaparte, insignita dal fratello Napoleone, Principessa e Altezza Reale del governo napoleonico a Lucca.