Dopo tre anni e 24 udienze, dopo perdite di tempo infinite, magistrati impegnati nel cercare di distruggere un ex ministro che aveva solamente cercato di difendere, giustamente, il suolo del nostro sfasciato stivale, finalmente è arrivata la sentenza. Otto ore circa, tanto hanno impiegato i giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo ad assolvere Matteo Salvini dalle accuse di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio "perché il fatto non sussiste". Ossia non è mai esistito anzi, è stata una boiata, un accanimento senza senso che una parte della magistratura italiana, sempre la medesima, sempre la più politicizzata, ha adoperato nei confronti dell'ex ministro dell'Interno. Da allora, da quando scattò l'assurda e ingiusta persecuzione verso Salvini, la sua stella iniziò, giocoforza, a tramontare, ma la vittoria di oggi dimostra che aveva ragione lui e, senza ombra di dubbio, questa decisione lo riporta in sella più vispo e coraggioso che mai.
Se conosciamo il nostro amico Roberto Vannacci, impegnato stasera ad Arezzo con oltre 300 invitati alla cena del suo movimento, sicuramente ci sono state grida di approvazione ed esultanza oltre a brindisi per una sentenza che, era ora, restituisce legittimità ad un ministro che ha voluto difendere i propri confini dall'invasione di migliaia di clandestini trasferiti dalle Ong finanziate da Soros e compagni contro la volontà della stragrande maggioranza del popolo italiana.
Quello che, poi, balza agli occhi è la sproporzione tra la richiesta del pubblico ministero, sei anni di carcere, una vergogna, uno schifo, un vomito per dirla tutta e l'assoluzione disposta dai giudici che hanno dimostrato di avere gli attributi e di non lasciarsi condizionare dalla sinistra e dalle correnti estremiste della magistratura. Luca Palamara, del resto, aveva raccontato per filo e per segno come funzionava la macchina della giustizia politicizzata.