La politica è l'arte del divenire. Dovendo governare la diversità sociale, contrariamente alla filosofia (basata invece sull'archetipo teorico dell'uomo immaginario), essa è chiamata ad adeguarsi sollecitamente ai cambiamenti del mondo. Tale divenire è di natura fluida e mutevole ancorché fondato su visioni socio-economiche precise, sulla diversità del programma di governo. Mark Twain soleva dire che è la diversità a far correre i cavalli, ossia che se non vi fossero competitori diversi non esisterebbero corse (e scommesse) negli ippodromi. Lo stesso vale per il consenso elettorale che si muove sulla base delle diverse proposte che ciascun partito sottopone all'elettore. Immerso in questo moto turbolento, prende vita, quotidianamente, la sfida tra "schieramenti" che spesso sono in antitesi tra loro. Risultato: la vita politica va incontro a vere e proprie contraddizioni spesso impensabili ed imprevedibili. Ancora più caotiche, poi, sono le dinamiche nei movimenti politici, ossia in quelle formazioni non strutturate, sorte dal basso e che si distinguono per la genericità delle proprie posizioni e per l'aleatorietà delle proposte: organismi che sovente danno vita ad una sorta di "movimentismo" che sfocia spesso nel qualunquismo e nell'opportunismo del momento. Sorse così il Movimento 5 Stelle, da una contestazione generale e generica mossa contro il sistema politico istituzionale e la classe dirigente che si cimentava sul campo in quel periodo storico. Una classe ritenuta causa di ogni male e di ogni proposito illecito. Insomma: prese piede un progetto tra l'eversivo ed il rivoluzionario, basato su alcune regole di base che non furono mai incartate in uno statuto che ne disciplinasse l’applicazione. Quell'estemporaneo modo di agire fu basato su una forma di pseudo assemblearismo manipolato attraverso una rete informatica gestita dal duo Casaleggio-Grillo. Così eterodiretto, il Movimento si costituì su base lucrativa attraverso una società di capitale che aveva nella propria disponibilità il simbolo, la denominazione e la gestione verticistica - oltre che illiberale - del "partito" nel suo complesso. Gruppi parlamentari compresi. Chi osava dissentire veniva messo alla porta senza troppi complimenti o spiegazioni di sorta. Insomma quello pentastellato era un movimento che si dichiarava alternativo ad un sistema politico descritto come fonte di malvagità ed incapacità, di ruberie e privilegi, ma che, dall'interno, veniva manovrato e utilizzato da due satrapi i quali, oltre ai soldi, la facevano da indiscussi padroni!! Con questa evidente contraddizione i 5Stelle si sono trascinati negli anni, con alterni risultati elettorali, fino a quando non hanno tirato fuori dal cilindro la "king opinion", vale a dire l'idea del reddito di cittadinanza. E' stata questa "genialata" a portarli, in pompa magna, al governo del Belpaese!! Insomma pur predicando onestà e cambiamento, i grillini sono assurti ai vertici dello Stato attraverso la più grande operazione politico-clientelare che la storia della seconda repubblica ricordi. Una volta in Parlamento e poi a Palazzo Chigi, i "contestatori" ne hanno combinate di cotte e di crude, sempre facendo leva scelleratamente sulla leva della spesa senza badare al debito pubblico. Come poi sia andata a finire questo è noto a tutti. Con la gestione del potere ed i relativi agi ad esso connessi, infatti, i primi a finire in cavalleria sono stati quelli che, in origine, erano considerati i cardini regolamentari inamovibili del movimento. A partire, per esempio, dall'obbligo di versare nelle casse del partito una corposa percentuale degli stipendi da onorevole; il limite del doppio mandato parlamentare; i meeting assembleari per decidere che "l'uno valesse uno"; la scelta dal basso dei candidati e, infine, la pubblicità di ogni riunione dei vertici. "Norme" sbandierate con orgoglio ai quattro venti, varate, un tempo, per realizzare la nuova..."morale grillina" e che pure oggi, a distanza di quasi vent'anni, vengono viste con un certo fastidio dagli attuali dirigenti del movimento. In casa 5Stelle, infatti, in questi giorni, sta andando in scena un vero e proprio scontro tra il vecchio padrone Beppe Grillo ed il suo ex delfino, l'ex premier Giuseppe Conte, con quest'ultimo che cerca di scippare al comico genovese ogni controllo sulla sua "creatura". Ora, se la cosa non riguardasse il rispetto delle regole democratiche a cui, per dettato costituzionale, tutti i partiti devono ispirarsi, ci sarebbe da ridere. Sì, perché Conte, proprio l'azzimato avvocato scelto dal padre padrone Grillo come candidato alla presidenza del Consiglio, oggi invoca...regole democratiche statutarie per prendersi i 5Stelle!! Insomma colui che ha tratto il massimo beneficio dal verticismo padronale di Grillo, oggi intende farlo fuori a colpi di...regole e cavilli!! Che dire? Stiamo assistendo ad una baruffa tra due pessime visioni della democrazia: da un lato, quella negata dall'ex padrone; dall'altro, quella meramente formale e strumentale del suo primo beneficiato, il quale è pronto a tutto pur di defenestrare il suo antico dante causa (al quale pure deve tutto!!). Una lotta sordida ed abbastanza prevedibile, squallida per l'etica dei fini. Lotta tra "grullini" più che tra grillini.