Donald Trump non si è ancora insediato nell’ufficio ovale della Casa Bianca, che già cominciano a manifestarsi i primi segni di un effetto domino che potrebbe interessare molte aree del mondo. Le malcelate intenzioni, anzi le esplicite e ripetute dichiarazioni del "tycoon" di un prossimo cambio della politica estera americana, col disimpegno politico e militare degli Usa, potrebbe, infatti, innescare (per timore del futuro) reazioni inattese da parte di quei paesi da sempre alleati degli States. Soprattutto in quei punti nevralgici del globo che, per diversi decenni, sono stati protetti ed aiutati dal "guardiano" dei valori della libertà e della democrazia nel mondo. E quale più emblematico esempio di "protettorato statunitense" di quello che viene dalla Corea del Sud? Quest’ultimo paese nasce dagli esiti di una lunga e sanguinosa guerra combattuta tra le falangi comuniste del Nord, armate e finanziate dalla Cina comunista di Mao Tze Dong, negli anni ‘50 del secolo scorso (e ovviamente dall'Urss), ed il Sud della penisola coreana, appoggiato, invece, dalla superpotenza americana. Dopo tre anni di scontri all'ultimo sangue, la diplomazia riuscì a sedare i bellicosi propositi di invasione da parte dei comunisti con la spartizione di quella regione in due Stati sovrani. In tutti questi anni i due paesi, sia pur con una diversa dottrina politica, hanno vissuto, l'uno accanto all'altro, sia pur tra ripetute minacce e schermaglie. Oggi più che mai la Corea del Nord si è armata a costo di stenti e fame per buona parte della popolazione, governata dal dittatore e despota comunista Kim Jong-un. La Corea del Sud, invece, è prosperata diventando una delle nazioni economicamente più organizzate e floride (reddito pro capite di 33 mila dollari) al mondo nel mentre il Nord soffre dei mali endemici dei regimi rossi (ultimo reddito pro capite conosciuto: 2.000 dollari). Tuttavia la Corea del Nord continua a sperimentare missili balistici a medio e lungo raggio minacciando l’intera regione fino al Giappone. Un incubo continuo per la Corea del Sud che, oltre ad armarsi con mezzi tecnologicamente all’avanguardia, ha costantemente contato sul supporto militare americano, oltre a trovare sbocchi commerciali proprio negli States per i propri prodotti. Il recente patto tra la Russia di Putin e la Corea del Nord di Kim Jong Un, la stessa presenza di truppe coreane nel conflitto Russo Ucraino e le relative forniture coreane di armi a Mosca, ha fatto scattare un campanello di allarme nella Corea del Sud. Se a questo aggiungiamo le manifeste intenzioni di Trump di imporre dazi sui prodotti esteri, a cominciare dalla tipologia di prodotti coreani (elettronica, automobili e tecnologia avanzata), ecco che i timori di Seul esplodono letteralmente. Risultato: l’attuale presidente Yoon Suk, proditoriamente, ha dichiarato la legge marziale! Un atto dettato da un imminente pericolo proveniente dal Settentrione, ha spiegato il premier, sospendendo le garanzie costituzionali. Ma nei regimi democratico-parlamentari, si sa, esistono i contrappesi a tutela delle libertà e dei diritti civili e politici; quindi il Parlamento, riunitosi sia pure in maniera rocambolesca, ha unanimemente annullato la drastica disposizione mettendo, si spera, fine ad una fibrillazione che avrebbe potuto portare la Corea del Sud sull’orlo di un golpe oppure di una guerra civile. La preoccupazione di poter perdere la storica spalla forte statunitense sia sul piano militare che commerciale, avrà giocato brutti scherzi al presidente di quella Repubblica. E se questo psicodramma dovesse colpire altri uomini di Stato oppure di governo di nazioni da sempre garantite dalla potenza militare americana, oppure fiaccati nei commerci, nei tradizionali rapporti , e nella loro florida economia, c'è il rischio che i loro leader possano fare lo stesso? Basti pensare a Taiwan, l’isola liberale che la Cina comunista brama di voler ricongiungere, con la forza, alla madre patria. Al momento l’unica crepa è quella della Sud Corea. Ne verranno altre? Lo sapremo presto!