Speravo, davvero, di non dover tornare in argomento sull’inseguimento culminato con decesso dell’inseguito in quel del Corvetto di Milano, ma le ultime litanie del sen. Cucchi e di qualcun altro a volte impongono di dir la propria.
Una volta sbugiardati – in diretta dall’ineffabile Comandante ALFA e su queste pagine da me – i professori tuttologi televisivi, i sostenitori del mantra “Il carabiniere si diverte a uccidere il povero extracomunitario, e basta!”, schierano l’artiglieria pesante e a chi chiedon soccorso? All’ex-capo della polizia, prefetto Gabrielli, il quale sostiene che, ove avesse avuto il potere di disciplinare la questione, avrebbe vietato la pratica e disposto che si provvedesse a rilevare la targa del mezzo fuggitivo, per poi contravvenzionarlo e cercarlo con calma il giorno dopo.
Andiamo con ordine e per punti:
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Quando era capo della polizia, possibile non abbia avuto tempo e modo per stilare una circolare al riguardo, visto che d’inseguimenti ve ne son sempre stati? E ora che è consigliere per la sicurezza del sindaco Sala a Milano, perché non l’ha ammannita almeno ai suoi “Ghisa”?
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E se una volta rintracciato il proprietario fuggito, quello scappa un’altra volta, sapendo che non lo si può ricorrere? Ricordiamo la tela di Penelope?
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È credibile che chi ha fatto l’investigatore – e bene pare: ci ha costruito prestigiosa carriera – non abbia pensato che il fuggitivo potrebbe essere pericoloso latitante, o avere con sé tracce importanti di reato da occultare? E che se sparisce quegli elementi di prova, quel criminale, non li prendi più?
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È opportuno – per sostenere la propria preconcetta tesi di giornalista schierato – far ricorso a un ex-rappresentante dello Stato, che ha fatto scelte politiche assolutamente lecite, sia chiaro, legando le proprie fortune a una determinata parte politica? Soprattutto ora che in qualità di esperto della sicurezza del sindaco Sala, a Milano, questo capoluogo non mi pare figuri ai primi posti nazionali per sicurezza generale? Quel personaggio resta imparziale come dovrebbe, o – parlo in termini generali – potrebbe essere mosso dall’interesse a non contraddire il proprio gruppo per continuare a farne parte? Sintetizzo il mio pensiero: un giornalista, se vuole sapere il parere dello Stato, lo chieda a chi rappresenta lo Stato. Ora. Non ieri.
Mi spiace, perché avevo – e ho – grande considerazione del personaggio, ma da un addetto ai lavori, da uno che certe esigenze le capisce al volo per averci convissuto una vita, mi sarei atteso che non avesse fornito risposta, con eleganza. Alla prossima mi attendo che lo interpellino quando un agente della Polizia di Stato impallinerà il solito aspirante accoltellatore, per abbeverarmi a cotanta fonte di saggezza e capire se sia meglio sparare o utilizzare il TASER. Nonostante quintali di documentazioni tecniche in più lingue ritengano che un coltello brandito a meno di 10 metri sia potenzialmente mortale. Il TASER no.
L’unica possibilità che potrebbe spiegare l’arcano di questo parere – per me assolutamente privo di valore – è che anche un super-poliziotto, passato nei ranghi della politica, debba soggiacere alla 1^ regola della libertà di pensiero del sistema partitocratico della Repubblica Italiana. Ovvero, che si è liberi di dire qualsiasi cosa si voglia, purché coincida con ciò che pensa il patron della propria formazione. “Dire”, sia chiaro, in quanto al pensare, va da sé che non serva neppure e potrebbe essere meglio perdere l’allenamento a farlo. Basta sentire le interviste in TV, per apprezzare come molti recitino la poesia meglio di come apprendemmo alle elementari.
Naturalmente il fatto che la consideri “unica possibilità che potrebbe spiegare” non vuol dire che io l’abbia abbracciata. Al contrario! Nella mia limitatezza cognitiva, mi limito a chiedere a chi ne capisce più di me di trovare altre motivazioni più plausibili dell’unica che m’è balzata in mente.