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Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa dettagliata 'denuncia-segnalazione' in merito agli incidenti avvenuti nelle ultime ore sulla via Pesciatina con relativo rischio di tragiche conseguenze
Marinella Maioli è laureata in psicologia con specializzazione forense, sceglie come argomento di tesi la psicologia applicata alla mafia dei colletti bianchi. Consegue un master di criminologia in Inghilterra. Nel suo percorso lavorativo si occupa di fornire supporto psicologico ai piloti di Moto GP del Team Pirelli. A livello di libera professione è consultata come CTU e fa perizie per conto di studi legali. Da oltre dieci anni è presidente dell'associazione "Il Coraggio", associazione di interesse socio-culturale che si occupa del sostegno ai più deboli e di combattere ogni forma di violenza. Segue il percorso di detenuti, in particolar modo, minorenni, durante la reclusione nel post-carcere, oltre ad aiutare psicologicamente le loro famiglie. Dà supporto psicologico alle donne vittime di violenza e agli orfani di femminicidio che definisce "orfani speciali". Rilascia una lunga intervista esclusiva alle Gazzette, sul caso di Alessandro Venturelli. In questi giorni era a Napoli insieme alla madre del ragazzo, Roberta Carassai. Ecco le sue convinzioni sul caso Denise Pipitone e la tutela dei minori.
Buongiorno dottoressa, cosa fa l'associazione Il Coraggio per aiutare le persone in difficoltà?
L'associazione Il Coraggio opera da 18 anni sul territorio nazionale ed internazionale, siamo al fianco di chiunque subisca violenze. Tanti professionisti collaborano con noi, abbiamo creato dei comparti specifici: violenze e femminicidi fanno capo alla sottoscritta e Veronica Sansuini. Sulle tematiche minorili con Stefano Maioli e Barbara Piccioli. Scomparsi con Arbana Ciceri, violenze di genere Francesco Castelletti.
Ci occupiamo inoltre dei casi di omicidio o suicidio sospetto. Negli anni abbiamo creato un team di legali che collabora con noi: gli avvocati Claudio Falleti, Claudio Salvagni, Giacomo Frazzitta, Alessia Sorgato e Luca Zita. Medici come Nadia Muscialini e biologi forensi Eugenio D'Orio.
In questi giorni tutti i giornali raccontano degli avvistamenti di Alessandro Venturelli a Napoli. Lei è stata sul posto, con la mamma di Alessandro, Roberta Carassai, creando una squadra di ricerca. Ci può raccontare alcuni retroscena?
Si è vero, l'associazione Il Coraggio segue il caso di Alessandro Venturelli da circa due anni, siamo al fianco dei suoi genitori aiutandoli e collaborando nella ricerca. Ultimamente siamo stati a Napoli dove erano arrivate diverse segnalazioni, abbiamo girato diverse zone tra cui Scampia, aiutati da Ciro Corona, a Scampia ha creato un centro polifunzionale, dai locali sequestrati alla mafia. È arrivata una segnalazione molto interessante, stavamo saltando tutti in aria, un barista a cui abbiamo fatto vedere solo la foto del viso, ha dichiarato "di averlo riconosciuto". Prima che noi gli facessimo vedere le foto dei tatuaggi, ha affermato: "Il ragazzo aveva un tatuaggio con numeri romani, gli era piaciuto molto, tanto da volerselo tatuare. Alessandro in effetti ha un tatuaggio romano sul braccio sinistro. Siamo stati ai quartieri Spagnoli, nei Dropin dove i senzatetto vanno a fare colazione e lavarsi. Insomma abbiamo girato in lungo e largo, le segnalazioni sono state veramente tante e molto probabilmente torneremo presto, anche se a Napoli abbiamo la nostra coordinatrice regionale Tonia Borrelli che non ha mai smesso le ricerche.
Lo stupro delle giovane ragazza di Palermo sulla quale un "branco" di sette ragazzi ha usato una orribile violenza. Il suo giudizio?
E' un'atroce vicenda, spero che la punizione sia esemplare. I mostri vanno fermati sul nascere. La legge italiana per le violenze di gruppo dà una pena dagli 8 ai 14 anni, spero che esistano ulteriori aggravanti per aumentare la condanna. In questo caso non darei assolutamente le attenuanti. Ci vorrebbe la "castrazione chimica"!
La scomparsa della piccola Denise Pipitone. Lei che opinione si è fatta?
Ho la fortuna di conoscere Piera Maggio e Piero Pulizzi, conosco il loro dolore e rabbia, ritengo che qualcuno sappia realmente cosa è accaduto a Denise, sono convinta che si debba cercare, come sempre affermato dalla Maggio, nella cerchia familiare. Senza togliere nulla alle forze dell'ordine per cui provo stima, ritengo che in questa vicenda ci siano troppe lacune.
Lei si occupa di tematiche minorili. Quali sono le norme di legge che devono essere migliorate o promulgate in Italia?
Le leggi spesso mancano o sono incomplete, oppure se ci sono vengono interpretate in modo antigiuridico (si veda la legge 54/06 con i suoi articoli 155 e 155bis che vanno letti in modo coordinato) o semplicemente non vengono applicate. Tra le leggi non applicate vi è la Convenzione di Istanbul, legge 77/2013, che con i suoi due articoli 26 e 31 impone che nei casi di violenza domestica la madre e il bambino siano messi ambedue in protezione e che l'affido non comporti alcuna condivisione e compresenza con il genitore (il padre o madre) violento. La Convenzione di Istanbul è ancora in larga parte disattesa ed ignorata.
Approfondendo il tema della disapplicazione della Convenzione di Istanbul ci imbattiamo in un altro tema collegato, con ulteriori responsabilità civili e penali da parte di magistrati e professionisti dei vari ordini. I casi delle ultime settimane parlano di prelievi coattivi di minori e di utilizzo di articoli di legge inesistenti per quanto riguarda l' allontanamento dei bambini dalla loro casa. Non esistono infatti leggi ad hoc che prevedano l'esecuzione di tali provvedimenti. Il giudice può decretare un allontanamento di un minore, ma non vi sono regole che ne disciplinino l'esecuzione se non che l'esecuzione dell'allontanamento spetta ai servizi sociali. Leggiamo infatti in un decreto del tribunale per i minori: "l'esecuzione del provvedimenti del TM è demandata istituzionalmente al competente S.S."
In un altro decreto leggiamo: "dispone... che il minore venga collocato presso adeguata casa famiglia, a cura del Servizio sociale competente, con l'ausilio di neuropsichiatra competente e con personale specializzato, in servizio presso Ufficio Minori. Viene posto il divieto di prelevamento del minore da parte di chiunque".
Le attività di collocamento e non di prelevamento, mai menzionate e anzi vietate, sono prerogative dei servizi sociali. I decreti parlano solo di accompagnamento del minore, altrove rispetto al suo domicilio (ledendo anche il suo diritto al rispetto del domicilio e della sua vita familiare, art. 8 CEDU) a carico dei servizi; e tutt'al più di rimozione di ostacoli mobili ed immobili da parte delle forze dell'ordine, senza mai dare indicazioni precise sul fatto che si possa prelevare il minore in modo coattivo contro la sua volontà.
Un esempio di come si costruisce una situazione fittizia di pericolo è evidente nel caso della madre di Roma e del bambino di 7 anni ammalato di epilessia "prelevato" nel 2021. La madre ha cresciuto ed allevato questo bambino e provveduto nella malattia ad accertamenti e cure -tutto documentato-. E' una madre adeguata, definita così anche dai tribunali, ma il padre reclama il figlio con una serie di atti proposti nel corso del tempo presso vari tribunali. Finché un tribunale dopo vari ricorsi gli dà ragione e dispone l'allontanamento dalla madre per il ricongiungimento con il padre; un padre con cui il minore non ha mai vissuto e da cui la madre è fuggita anni ed anni prima per le sue condotte violente. Il tribunale decreta quindi che i servizi accompagnino il minore in casa famiglia per fare questo percorso di distanziamento madre/avvicinamento padre (un percorso pseudo-sanitario, che chiama in causa il trattamento PAS, e merita un discorso a parte). Questo tentativo fallisce e i servizi sono 'comandati' perché collaborino con le FFOO.
In aggiunta il tribunale dispone che le FFOO provvedano al '"rintraccio del minore'" sul territorio nazionale, perché la madre non ha risposto ai servizi andati a bussare presso il suo domicilio, coinvolgendo l'anticrimine, supponendo quindi che vi sia un rischio (imprecisato) per il minore. In più il tutore espone alla procura denuncia- querela per sottrazione del minore da parte della madre .
Ma di quale sottrazione si parla e a chi è stato sottratto il minore, visto che ha sempre vissuto con la madre?
Si fa avanti così una procura della Repubblica nell'ambito del cui territorio viene rintracciata la famiglia del minore con moderni GPS, quella procura emette un provvedimento che ha come obiettivo andare a verificare la presenza del minore nell'appartamento individuato. A questo scopo la dispone la perquisizione dell'immobile rintracciato con conseguente sequestro di materiali e oggetti rilevanti a fini probatori (art. 252 cpp). La morale di tutto ciò è che un bambino, non essendoci alcuna legge che indichi le modalità del suo prelievo, viene sequestrato come materiale probatorio, cosificato in un provvedimento di perquisizione, equiparato cioè a un oggetto di un presunto reato con valore probatorio, perché non si poteva certo procedere ad un sequestro di un vivente, libero cittadino. Nel provvedimento si fa finta di non riferirsi al prelievo di un minore, ma solo a perquisizione e a sequestro di oggetti, è scritto di utilizzare modalità che non "arrechino" danno alla proprietà immobiliare. Ecco la becera furbizia di chi abusa del suo potere e vuole aggirare diritto e Costituzione. Tutto questo si può fare? Prima di tutto: è legale, come dice il decreto succitato, il tribunale istituzionalmente imponga ai servizi sociali l'esecuzione dei suoi decreti? A nostro parere NO.
I servizi sociali hanno una loro autonomia professionale, dipendono amministrativamente da altra istituzione, i comuni e possono non conformarsi, nella logica della tutela del minore, a disposizioni del tribunale che da un lato non possono valere come ordini per loro, dall'altro possono essere valutati lesivi per l'integrità psicofisica del minore. Lo stesso vale a maggior ragione per i servizi sanitari, anch'essi chiamati a normalizzare la 'scena di un crimine' nel tentativo di dare un abito di legalità ed umanità a un'azione traumatica.
Gli unici in posizione di subordine sono polizia e carabinieri. Ma a loro non viene dato ordine diretto, si parla di supporto ai servizi, foglia di fico un provvedimento coercitivo contro un minore che potrebbe avere base legale solo in rapporto all'art. 403 cc. riferibile a una situazione di emergenza. Emergenza che con tutta evidenza per questi minori ben accuditi e curati dalle loro legittime madri non esiste.
Sulle tematiche minorili vuole aggiungere altro?
I servizi assumano con dignità il loro ruolo e gli assistenti sociali, così come gli operatori dei servizi sanitari obiettino (oggi si risponde contrariati per qualsiasi cosa, anche di parva materia) che non è nella loro missione e nel loro codice deontologico arrecare traumi a un minore che non stia correndo un vero rischio per la sua integrità psicofisica. Rinviino alla loro catena gerarchica la decisione: il direttore ASL e sindaco del comune di appartenenza. Sono loro a doversi assumere in prima persona questa responsabilità, decidendo anche di infrangere la legge e la Costituzione. Non è possibile che il prelievo coattivo di un bambino si trasformi in una indegna caccia all'uomo, sguinzagliando come cani da preda servizi sociali e sanitari, polizia, curatore tutore, carabinieri, unitamente, in alcuni casi, all'investigatore privato del padre.
Qualcuno di questi soggetti nelle loro dirigenze, tutte titolate a fermarsi, si rifiuti di procedere e indichi questa caccia a un bambino come indegna di un paese democratico. Assistenti sociali, medici e psicologi abbiano un sussulto di dignità professionale e scendano da questo carrozzone segnalando che non si può, in base al loro vincolo professionale, partecipare a un intervento i cui costi traumatici per il bambino superano i benefici attesi.
Cosa dire poi del potere giudiziario, si chiede da più parti e da tempo un invio di ispettori del ministero della giustizia in quei tribunali che non rispettano le leggi dello stato e le convenzioni internazionali e che inventano prassi coercitive al di fuori di norme, regole e diritti costituzionali. E' il momento che qualcuno intervenga, a livello di governo e/o di parlamento e si assuma qui e ora la responsabilità di tutto ciò, mettendo fine a questa indegna giostra psico-socio-giudiziaria.
I casi di cronaca giudiziaria che hanno colpito la sua anima sensibile?
I due casi di cronaca giudiziaria che mi hanno colpito emotivamente: Mario Biondo e Jessica Faoro. Sul caso di Mario, a oggi non ci sono certezze, anche se ritengo inammissibile il suicidio. Per il caso di Jessica, anche se il suo assassino ha avuto l'ergastolo, non sono soddisfatta, le istituzioni avrebbero dovuto fare di più.
Una cosa mai detta che vuole raccontare in esclusiva alle Gazzette?
Ci sono ancora casi di bullismo, omofobia e violenze. Ragazzi e ragazze costretti a lasciare la loro terra nativa perché ancora oggi vengono discriminati. Sto aiutando queste persone: perdono il lavoro perché omosessuali, non gli affittano casa, questo è inaccettabile! Sto lavorando con Roberta Carassai, per un progetto sulle persone scomparse, forse cambierà radicalmente il modus operandi delle ricerche.
Il suo libro "L'altra me - La mia rinascita". perché ha avuto la necessità di scrivere questo testo?
E' il mio secondo libro, la continuazione del primo "Non ho paura di urlare". Volevo trasmettere ai lettori: non bisogna mai nascondersi e sentirsi in colpa, parlare e denunciare aiutano nell'affrontare i problemi.
Dopo la pubblicazione della lettera del disastro in elettrico le mando la mia per parità di informazione. Vivo a Zurigo e dopo essere andati e tornati da Capo Nord in elettrico (16 giorni, 8200 km percorsi) abbiamo deciso di passare almeno una settimana al mare in Toscana. Siamo partiti da Zurigo con il 100% di batteria, ci siamo fermati dopo Milano per mangiare e ne abbiamo approfittato per caricare. Seconda fermata al Fidenza Village per fare acquisti e con mia sorpresa parcheggi con colonnine e ricarica gratis, dopo gli acquisiti direzione Livorno con pausa per sgranchirsi le gambe a Viareggio, ne abbiamo approfittato per ricaricare. Arrivati in albergo abbiamo appreso di avere due colonnine per la ricarica che abbiamo usato durante tutta la nostra permanenza. Per il viaggio di ritorno partiti con il 100%, fermata in Autogrill prima di Milano per mangiare con ricarica annessa, fermata per un caffè prima di Lugano e poi unico tratto per Zurigo. Spesa complessiva per il viaggio 65 euro mentre in autostrada la benzina la vendevano a 2.7 euro per litro lo stesso viaggio con una macchina equivalente sarebbe costato 250 euro.
Spero che vogliate pubblicare la mia testimonianza in cui si nota che durante tutto il viaggio ci siam fermati per fare altro e ne abbiamo approfittato per la ricarica.